27, Aprile, 2024

La storia della miniera di Santa Barbara fra passato, presente e futuro

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Ad oggi, la miniera di Santa Barbara è un parco naturale ricco di fauna, piante, laghi, bellissimi sentieri da fare a piedi o in bici. In un tempo non molto lontano, la miniera appariva come una valle desolata, vittima dei ripetuti scavi minerari per ottenere la lignite, che bene o male ha mandato avanti l’industria valdarnese per oltre un secolo.

Pietro Taraglia (Direttore Enel Siti Santa Barbara), Matteo Fallucca (Responsabile Unità di Santa Barbara), Enzo Leprai (Responsabile progetto di riassetto miniera) e Riccardo Clementi (Addetto stampa Enel) si sono prestati a mostrare nella sua interezza il parco naturale, che, dopo decenni di sforzi, si è ottenuto ripristinando l’ambiente naturale attraverso innumerevoli interventi di bonifica dell’area. La sorte della Miniera di Santa Barbara, tuttavia, non si fermerà qui, in progetto ci saranno ancora numerosi interventi per rendere questo posto un luogo attrattivo per turisti e non. Scopriamo prima, però, la sua storia.

La storia della miniera di Santa Barbara affonda le sue radici in un tempo molto lontano, si può affermare addirittura che essa sia iniziata migliaia di anni fa con la foresta primordiale valdarnese, da cui è derivata la famosa lignite che ha mandato avanti l’industria del territorio per oltre un secolo. Per partire dall’inizio, occorre sottolineare che cosa sia questa importante risorsa naturale: essa è un carbone fossile, che si crea naturalmente nel sottosuolo grazie allo sprofondamento del terreno per la copertura degli alberi, per la presenza delle acque e dei detriti portati dai fiumi e venne usato come risorsa energetica a lungo. Si presenta, tutt’ora, come una specie di “corpo legnoso”, infiammabile velocemente. Il bacino tra i comuni di Cavriglia (per la maggior parte) e di Figline Valdarno è stato, per sua natura, ricchissimo di lignite, diventando il più importante giacimento italiano dei tempi. Tuttavia, il suo impiego in ambito industriale è stato scoperto solo intorno al 1871, quando la “Società Italiana per l’Industria del Ferro” gettò le basi teoriche per un suo sfruttamento e, soprattutto, l’idea di aprire una ferriera a Castelnuovo dei Sabbioni per ricavare il combustibile con cui alimentare gli altiforni della vicina e recente Ferriera di San Giovanni Valdarno. L’idea di coniugare le due sedi, di cui la prima si occupava di estrarre la lignite e la seconda di produrre e raffinare il ferro, venne poco dopo e già nel 1873 si costruì una linea ferroviaria per collegare le due cittadine valdarnesi. Tuttavia, le loro vicende economiche e lavorative non andarono subito per il meglio, dai problemi tecnici e finanziari a quelli di natura organizzativa. Le cose cambiarono quando la miniera di Castelnuovo passò alla nuova Società Anonima delle Ferriere Italiane poco dopo il 1880, in questa nuova fase aumentò notevolmente anche le forze lavoro, nel libro “Dalla foresta al bosco.La lignite del Valdarno e la centrale di Santa Barbara”, uscito il maggio scorso e voluto fortemente da Enel Energie, si legge: “Le maestranze passano nello stesso periodo da 404 a 1.450, la produzione annua da 49.000 a 290.000 tonnellate (di lignite)“.

La miniera di Santa Barbara è stata attiva dal XIX secolo al 1994, anno in cui la lignite terminò. L’idea di realizzare una centrale termoelettrica alimentata a lignite nacque negli anni ’30, data l’altissima presenza di lignite che portò gli allora responsabili a pensare ad una nuova e funzionale occupazione di essa, la produzione diretta di energia. La sua storia non fu, però, sempre facile, la centrale venne infatti distrutta al passaggio del fronte nella Seconda Guerra Mondiale e ricostruita poi negli anni ’50, allora alimentata con la coltivazione “a cielo aperto” con moderne macchine di scavo, attraverso movimenti di terra per spostare gli strati di copertura del banco lignitifero. Ad oggi, risulta essere un moderno impianto a ciclo combinato, noto anche per aver adottato un particolare metodo israeliano, chiamato Tes e per l’importanza che riveste nel territorio. L’attività mineraria è stata, per moltissimi anni, il fulcro e motore delle attività siderurgiche vicine e, soprattutto, una concreta possibilità di lavoro per i cittadini valdarnesi. 

I ritmi di lavoro per l’estrazione della lignite all’interno della miniera aumentarono, però, sul finire del XIX secolo, fattore che portò sempre di più al cambiamento del paesaggio. Anno dopo anno l’attività mineraria spinge in un angolo la fisionomia agreste della valle. Scompaiono boschi, si sbancano campi, filari di vite e oliveti, si deviano strade e anche qualche borro. Al loro posto compaiono teleferiche, ciminiere, bocche di miniera, discenderie e capannoni“, si legge ancora nel medesimo libro. Così come stava accadendo nel resto d’Europa, specie in Inghilterra, i paesaggi agresti si trasformarono nei nuovi panorami industriali che capeggiano nei libri di Dickens. “Era come stare sulla luna, non c’era niente, solo un terreno devastato”, così è stato descritto il terreno da cui si estraeva la lignite fino agli anni ’80-’90. Di pari passo, l’aumento del lavoro iniziò a gravare anche sui lavoratori, l’attività mineraria svolgendosi per la maggior parte nelle gallerie provocava gravi incidenti e spesso i salari risultavano davvero miseri. Ancora nel libro: “Lavorare in galleria non è cosa da tutti. Bisogna imparare a convivere con la sensazione opprimente del chiuso, l’oscurità, l’aria immobile, l’afa, l’umidità“.

Il cambiamento paesaggistico della Miniera di Santa Barbara è stato il risultato di una serie di scelte di varia natura. Nel giugno 1925, le Cave di Castelnuovo vennero acquistate dalla SMEV (Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno), che per prima propose la creazione di una centrale termoelettrica, da alimentare con l’esubero di lignite presente nelle cave. Ciò sommato all’attività bellica, all’esplosione del lavoro, ai cambiamenti socio-economici che investirono gli italiani nel dopo guerra. L’attività mineraria dall’Ottocento fino alla seconda guerra mondiale è stata svolta in galleria, permettendo anche una coltivazione agricola nel soprasuolo. Dagli anni ’50, poi, iniziarono gli scavi a cielo aperto del banco di lignite, per fare cioè era necessario spostare enormi cumuli di terra, da intendere anche come prati, foreste, strade, villaggi per ottenere il massimo quantitativo di lignite per mandare la futura centrale, inaugurata il 7 ottobre 1958. Entrano in scena anche enormi macchine per l’escavazione, manovrate da un solo uomo: “Per rendere più familiare quelle stravaganti e gigantesche apparecchiature, la gente del posto comincia a chiamarle Bette“. Dopo soli quattro anni dall’entrata in funzione di esse, sono stati già asportati oltre venticinque milioni di metri cubi di terra, in pratica in quaranta anni è stata mossa una quantità di terra tale da creare una vera e propria valle con tre piccoli laghetti artificiali. Ciò, però, andò di pari passo al prestigio che i valdarnesi iniziarono ad acquisire in tutta Italia: la centrale e miniera di Santa Barbara era davvero un unicuum industriale. Enzo Leprai Responsabile Progetto di ripristino: “Oggi è difficile capire cosa c’era qui, ma per fortuna la natura ha fatto il suo corso. Questa è un’area in continuo divenire da un secolo, perché anche quando c’era l’attività in galleria sia soprasuolo veniva deviate strada e torrenti, l’attività coinvolgeva tutta la vita sociale. Solo ultimamente con l’arrivo dell’Enel si è scoperchiato questo banco di lignite e si è dato anche maggiore evidenza all’attività, coinvolgendo 3000 ettari di cui 1300 già restituiti e sistemati. I restanti sono l’oggetto del nostro progetto ambientale”.

Uno dei protagonisti nella vicenda di Santa Barbara è senz’altro Enel, che ancora oggi manda avanti la centrale e al contempo attua, ormai danni, un processo di rinaturalizzazione dell’area della miniera. Era il 2 luglio 1969 quando (dopo la legge sulla nazionalizzazione dell’industria elettrica) la gestione e i beni di Santa Barbara passarono nelle mani di Enel. Le dinamiche e problematiche che Enel dovette affrontare furono tante, dai contratti dei lavoratori agli alloggi, fino alla manutenzione e sicurezza dell’area. Gli anni ’70, inoltre, portarono una serie di cambiamenti che si riversarono ancora nel bisogno estremo di lignite, così gli scavi e i ritmi di lavoro aumentarono. Si arrivò così agli anni Novanta, nello specifico al 1994, anno in cui furono estratte le ultime 128.400 tonnellate di lignite e Enel presentò un primo “Progetto per il recupero ambientale”.

30 milioni di tonnellate di lignite, ben 225 milioni di metri cubi di terreno in un’area di 3000 ettari. Ad oggi, la zona risanata è di 1300 ettari, con 340 ettari di bosco piantato. Questa è la somma approssimativa che è stata stimata per le operazioni di scavo nel territorio di santa Barbara. Di fronte a ciò, Enel ha da subito proposto un programma, che prevedeva la risistemazione del giacimento di Castelnuovo, comprese le aree circostanti alle sponde del bacino idrico per renderle funzionali allo sport e al tempo libero. Già dagli anni ’70, l’area che si estende dietro Meleto era stata riqualificata grazie ad un processo di imboscamento e, poi, una particolare coltura che ha permesso lo sviluppo di un bellissimo bosco, ricco di specie vegetali anche particolari, come la pianta cinese maclura. Ma non solo, ad oggi l’area dell’ex miniera si presenta come un bellissimo paesaggio naturale, nel quale convivono diverse attività: dalla produzione del miele da parte di apicoltori locali, alla collaborazione con l’università di Siena per la sfera geologica, alla nota gara ciclistica “La Marzocchina” e al recupero puntuale di piante.

Per quanto riguarda il futuro, Enel ha in cantiere diversi progetti che molto probabilmente partiranno entro qualche mese. Ad esempio, nell’area del lago di San Donato (posta sotto tutela dal Ministero dei beni culturali) la gestione idraulica e operativa dovrà essere ridefinita in base ai vincoli paesaggistici, a partire dalla realizzazione di un immissario dedicato al lago collegando il Borro dei Frati alle acque di San Donato, nonché di un emissario. Si tratta, peraltro, di una zona con potenziale anche dal punto di vista geologico e naturalistico, temi su cui potrebbero svilupparsi eventuali progettualità specifiche. Ma anche la riqualifica del Lago di Castelnuovo e quindi la creazione di sponde per la balneazione turistica, la creazione di un percorso che dal Restone porterà fino alla Roccia di Padre Pio. La miniera di Santa Barbara è da tempo luogo di collaborazione con il tessuto associativo del territorio, sia attraverso iniziative di turismo sostenibile con escursioni in bicicletta, a piedi, attività sportive e naturalistiche, sia con attività di esercitazione in scenari di emergenza insieme a Vigili del Fuoco e altre realtà che operano nel settore della protezione civile. Infine, nella zona di miniera antistante la centrale è attivo il cantiere che utilizza le terre provenienti dagli scavi in corso a Firenze per il nodo TAV, con particolare riferimento a quelle di gallerie e stazione già caratterizzate, per la realizzazione di una collina schermo. Le terre vengono trasportate totalmente su rotaia, in treno con trasporto dedicato, e concorrono alla riqualificazione e valorizzazione paesaggistica dell’area mineraria.

Da luogo irrisolto e immenso deposito di fatiche, l’ormai ex bacino minerario del Valdarno Superiore è diventato teatro di un graduale ma ciclopedico lavoro di recupero, queste sono le parole con cui termina l’importante volume dedicato alla miniera di Santa Barbara. Ripercorrere la sua storia ha fatto emergere criticità, incidenti nei quali hanno perso la vita uomini, evoluzione, cambiamenti, ma ponderare, ad oggi, le decisioni passate non è facile. Ciò che, invece, è sicuro è che la centrale di Santa Barbara ha modificato profondamente il tessuto sociale del Valdarno e, sopratutto, che vi è stato, e vi è tutt’ora, lo sforzo dell’uomo di restituire alla natura cosa le è stato tolto in passato.

Fonte: “Dalla foresta al bosco.La lignite del Valdarno e la centrale di Santa Barbara” di Michele Mauri, Giovanni Mura e Mario Donadoni.

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