Alla memoria di 5mila italiani uccisi in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia è stata istituita dal Parlamento italiano nel 2004 la data simbolica del 10 febbraio, “Il Giorno del Ricordo”. In questa data si ricordano le vittime delle stragi delle Foibe e coloro che hanno dovuto lasciare la propria dimora pur di mantenere la cittadinanza italiana, dopo la cessione di Istria, Dalmazia e Fiume alla ex Jugoslavia.
Valdarnopost ha così deciso di riportare qualche storia di coloro che furono accolti nel Campo Profughi 82 di Laterina grazie all’ampio materiale che la redazione ha prodotto in merito nel corso degli anni.
350 mila profughi istriani si rifugiarono così nei 108 campi profughi italiani: uno di questi era quello di Laterina, precisamente il numero 82. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, l’Istria, la Dalmazia e il Quarnaro furono occupati dal dittatore Tito, territori che poi furono ceduti alla Jugoslavia a seguito del Trattato di pace del 10 febbraio 1947. Molti esuli istriani trovarono rifugio anche presso Laterina, nell’ex campo di concentramento per prigionieri di guerra, poi gestito dai tedeschi e, infine, convertito in campo di accoglienza dal Ministero dell’Interno. Un insediamento che ha avuto diverse forme e che ha visto una triste e dolorosa parte della storia italiana. Il Campo è stato chiuso nel 1963 con soli 107 esuli rimasti. La volontà di fare del campo 82 di Laterina un Museo della Memoria è stata per anni proposta da alcuni ex esuli e dall’amministrazione comunale di Laterina stessa. Nel febbraio 2020, durante un consiglio regionale, venne annunciato il desiderio da parte del Comune di acquistare il terreno del campo per farne un Museo. La proposta fu accolta positivamente dalla Regione Toscana, ma ad oggi non si sono novità in tal senso.
Fra il 1948 e i primi anni ’50, il campo accolse un totale di tremila persone. Inizialmente, gli esuli istriani vissero insieme in lunghe baracche in stile caserma, separati soltanto da coperte appese a corde di metallo. Poi, in seguito, la vita del campo si organizzò in maniera più articolata diventando come un piccolo paese dentro Laterina. Venne eretta una chiesa con un parroco, una scuola elementare e materna, delle piccole botteghe. Vi erano, inoltre, un’infermiera, un medico. In occasione del Giorno del Ricordo per molti anni un piccolo gruppo di ex profughi istraini ha fatto visita al campo 82, ricordando la loro infanzia vissuta al suo interno. Sono stati realizzati, nel corso degli anni, video, foto e anche interviste rese possibili soprattutto grazie al lavoro dei Claudio Ausilio, delegato provinciale di Arezzo ANVGD.
La storia di Anna Maria Manzoni
Anna Maria giunse al Campo Profughi di Laterina nel 1948, quando assieme alla sua famiglia fu costretta a lasciare Albona. Il racconto di questa esperienza è così filtrato dai suoi occhi di bambina, i suoi ricordi “valdarnesi” sono stati portati in superficie grazie a Claudio Ausilio e a una lettera/testimonianza: “Non mi è facile ritornare all’autunno del lontano 1948 quando a otto anni mi ritrovai improvvisamente ad abbandonare la natìa Albania per giungere dopo un travagliato e doloroso viaggio al Campo Profughi di Laterina. Ancora oggi, sono impressi nella mia mente alcuni episodi di cui vi voglio fare partecipi”.
Dopo l’esperienza al Convento delle suore di San Giovanni, Anna Maria Manzoni torna per l’estate al campo 82 e lo ricorda così:
Rientro al Campo 1949
Intanto al Campo tutti i genitori, già al corrente della nostra gita, ci aspettavano preoccupati con ansia, perché loro sapevano che era proibito avvicinarsi e bagnarsi nella diga. Noi tutti ci rendemmo conto della nostra incoscienza e del pericolo corso, convinti che era meglio ritornare al nostro vecchio caro amico Arno. Inaspettatamente, alla fine di febbraio 1951, venne comunicato ai miei genitori il trasferimento alle Casermette di Torino. Fu un radicale cambiamento nella vita della nostra famiglia, pronta ad affrontare nuovi problemi, sorretta però dalla speranza di un futuro migliore.
L’esperienza di Nadia Della Bernardina al Campo
All’età di appena 17 anni, Nadia Della Bernardina arrivò al Campo Profughi di Laterina. Erano gli anni ’50 e Nadia, come altri profughi, ha raccontato la sua esperienza grazie alla collaborazione di ANVGD.
“Sono arrivata al CPR di Laterina nel settembre del 1951, proveniente dal CSP di Udine dopo tre mesi di attesa, nella speranza di un trasferimento in qualche città che offrisse delle opportunità lavorative, come il lavoro di cui avevo tanto bisogno. Avevo 17 anni. Ricordo che arrivammo a Laterina un pomeriggio, ma non rammento la data. Ad attenderci, un camion in dotazione al campo profughi che ci portò a destinazione. Non dimenticherò mai quel veicolo: l’impatto fu devastante; ma l’arrivo al campo di Laterina non fu da meno.
Era un paesino di circa 800 anime, e il campo profughi era sito proprio sotto di esso, nella vallata. Una specie di fortezza che mirava dall’alto la piana che diventò di colpo la nostra nuova casa. Alla vista di quelle baracche numerate, ex campo di prigionia, scoppiai in pianto. La disperazione ebbe il sopravvento al momento dell’assegnazione dei pagliericci e della baracca numero 9. Consisteva in uno spazio angusto con delle coperte militari come pareti. Fui attaccata dal terremoto dei ricordi: avevo lasciato la mia città, le mie origini, parte della mia famiglia, gli amati nonni, le amicizie, i primi amori, per ritrovarmi in una vallata adibita, o meglio, trasformata da campo di prigionia in un campo di accoglienza.
Ci sarebbe molto altro da dire ma i ricordi che affollano la mente, grazie anche a questo ritorno all’archivio della memoria, sono troppi e meriterebbero troppo spazio e tempo da dedicare. Concludo nella speranza che questi pochi frammenti di vita da esule, contribuiscano nel far rivivere il ricordo a chi, come me, lo ha vissuto sulla propria pelle, ma soprattutto alle nuove generazioni, affinché possano perpetuare la nostra storia, e tramandarla ai nostri figli, nella continuità. Oggi, fortunatamente, gli strumenti ci sono”.
Il ricordo di Ireneo Giorgini
Egli arrivò a Laterina la mattina del 5 dicembre 1950, all’epoca aveva 14 anni. Ireneo Giorgini (dapprima Juricich) ricorda molto bene il suo arrivo in Valdarno: “Arrivammo a Laterina la mattina del 5 dicembre. La corriera dalla stazione ferroviaria ci lasciò dopo 5 km di strada bianca, davanti a una stradina. Scendemmo e in lontananza vedemmo un agglomerato di costruzioni basse. Ci avvicinammo con le nostre valigie e una persona ci chiese: “Da dove venì?”, ovviamente in dialetto. Da Fiume. “Andè a presentarve” in Ufficio, ci rispose. La nuova vita iniziò lì. Lascio immaginare i miei genitori, all’epoca quarantenni, nel vedersi assegnare un alloggio alla Baracca 12 condiviso con un’altra famiglia. Il personale ci aiutò a trasportare dal magazzino le brande, i pagliericci e la paglia per preparare i nostri giacigli. I muratori ci costruirono in mezza giornata un fornello a legna tutto in cemento.
Nel 1954 venne il sospirato trasferimento alle Casermette di Borgo San Paolo a Torino, e qui inizia un’altra storia. Arrivati a Torino, i due fratelli di mio padre insistettero affinché anche lui cambiasse il cognome come avevano fatto loro, per una questione di coerenza, e mio padre acconsentì. Da lì in poi il mio cognome è diventato Giorgini. Nel 1969 mi sono sposato con una ragazza torinese, Carla. In viaggio di nozze siamo passati da Laterina e ci siamo ritornati nel 1987, con nostra figlia Emanuela, quindicenne“.
La storia di Giulio Sabatti
“Abbandonare la casa e il paese dove si è vissuti tutta la vita è un dolore che può capire solo chi ha vissuto un’esperienza simile. Sapevamo che era un abbandono definitivo fatto con la consapevolezza di non tornare mai più”, afferma Giulio Sabatti in un’intervista video fatta da Valdarnopost anni fa. Giulio Sabatti nacque nel 1943 a Visinara e così come altre migliaia di persone ha lasciato l’Istria fra il ’47 e gli anni ’50. Al tempo, Giulio Sabatti aveva 5 anni e con la sua famiglia si imbarcò per Trieste nel 1948, per arrivare a Laterina in treno. Dalla stazione Giulio e la sua famiglia sono arrivati a piedi al Campo Profughi:
“Arrivati li questa struttura con una direzione all’ingresso che ci riceveva e ci diceva la destinazione della baracca. Noi siamo stati destinati alla baracca numero 1 e da lì è iniziata l’organizzazione. Non c’era niente, siamo dovuti andare dai contadini vicini per cercare le foglie di granturco per mettere su un “letto”. Poi con il tempo ci siamo organizzati, con scuole e asilo. Io mi ricordo che dopo poco ho iniziato a frequentare l’asilo, facendo anche feste. Ogni volta che gravito verso il Valdarno, vengo qui per ricordare gli anni della mia infanzia, in un territorio che non era il nostro, ma che alla fine lo è diventato“.
Ci sono tante altre storie degne di essere lette e ricordate in questo Giorno. La redazione di Valdarnopost nel corso degli anni le ha raccolte moltissime grazie alla collaborazione di ANGVD e Claudio Ausilio.