La sua avventura era iniziata già con il viaggio che lo ha portato in Giappone, in sella alla sua moto. Adesso Francesco Ristori ci parla della sua vita da cittadino giapponese in questi primi sei mesi, del suo lavoro e di Tokyo, in attesa del racconto che farà di persona il prossimo 2 maggio a Montevarchi
Sono passati sei mesi dall’arrivo in Giappone dopo la sua impresa: il viaggio in moto via terra da Montevarchi. Adesso Francesco Ristori vive e lavora a Tokyo, un’esperienza che definisce positiva e gratificante: “Sono stupito di quello che sono riuscito a collezionare, qualcosa di totalmente inaspettato ed estremamente soddisfacente”, ci racconta direttamente da quel Paese e quell’Oriente a lungo sognato, che ha dato il nome anche al suo blog. In attesa di accoglierlo di nuovo a Montevarchi tra un mese, anche se per pochi giorni, ci racconta in un’intervista la sua esperienza di valdarnese all’estero.
“Sono arrivato rispettando ogni obiettivo che mi ero prefisso per questa nuova avventura di vita: arrivare dall'altra parte del mondo in moto, rientrare nel budget e trovare un lavoro a Tokyo” – racconta Francesco – “Ammetto che non è stato affatto semplice e, nonostante il Giappone sia forse il paese più occidentale dell'Asia, sono tante le stranezze e le diversità che mi hanno messo in difficoltà, a partire dalla lingua e dall'estrema importanza della forma che per noi "latini" non è così fondamentale”. C’era la necessità di trovare nuovi stimoli per continuare il soggiorno, con le possibilità che stavano diminuendo progressivamente. “Poi un amico mi informa che uno studio di architettura di interni con molte relazioni con l'Italia era in cerca di personale e per fortuna il colloquio ha avuto esito positivo”.
“La possibilità di lavorare nel mio campo di studi in un grande ufficio, che mi permetterà di lavorare nel mercato asiatico, è sinceramente straordinaria: abbiamo molti rapporti con l'Italia, chissà che un giorno non riesca a tornare nel Bel Paese sfruttando proprio questo canale” – ci spiega – “Attualmente nella mia compagnia stiamo lavorando su progetti in piccola e grande scala che riguardano i campi dell'alta moda (trattiamo anche con moltissimi marchi italiani), ma anche dell'ospitalità alberghiera e residenziale, oltre che all'allestimento di uffici, grandi magazzini e ogni anno espandiamo il nostro raggio d'azione a nuovi settori”.
Un’esperienza e una terra che lo proiettano anche nello studio di una lingua completamente diversa dalla nostra, a partire dal sistema di scrittura. Oltre al lavoro, fondamentale diventa frequentare un corso di giapponese: “Fortunatamente, date le molte relazioni con l'Italia, inizialmente ho avuto la possibilità di inserirmi pur non sapendo il giapponese (il mio boss parla italiano). Fin da subito ho iniziato a frequentare un corso con lezioni private per avere la possibilità di interagire con tutti i designer: pochi infatti sono quelli che parlano inglese e ho trovato una lingua ostica ma molto interessante, che fa parte di quel pacchetto di sfide che rendono interessante questa esperienza. Qui è tutto un altro mondo, rimborsano spese di trasporto, parte delle spese del pranzo di lavoro, dell'affitto e la ditta mi ha pagato anche 32 lezioni di giapponese per un totale di 114.000 Yen, circa 700/800 euro!”
Ma com’è il Giappone? Quanto è lontano o diverso da noi in cultura, società e accoglienza? “Una scoperta in positivo è che nonostante le persone siano davvero difficili da approcciare, quando te le fai amiche ti danno davvero tutto. Tokyo è gigantesca e nonostante conti oltre 13 milioni di persone (40 milioni se si considera tutta la periferia), il fatto che sia divisa in 23 città speciali per essere meglio amministrata la rende un posto non male per vivere, organizzata molto bene, in cui tutto funziona. Purtroppo è "stretta", ovvero l'edilizia è cresciuta senza controllo e spesso mancano marciapiedi, le strade sono piccole. La burocrazia è tanta anche qui, ma se sai cosa fare (e per me non è stato semplicissimo in quanto non parlo giapponese) qualunque procedimento si risolve in un arco brevissimo. Comunque sono stato accolto a braccia aperte, sempre aiutato da chiunque, nonostante le barriere linguistiche e culturali. I metodi per abbassare di livello lo straniero sono un po' più subdoli e si riscontrano quando cerchi una nuova casa, quando chiedi la carta di credito in banca etc. Il bello è che, come da tradizione giapponese, vieni sempre rifiutato col sorriso e mai con un "no" netto, rimanendo spiazzato e non riuscendo neanche ad arrabbiarti come si farebbe da noi”.
“Dal punto di vista culturale ho ancora qualche difficoltà con la differenza di approccio e di rapporto tra persone: in Italia ci presentiamo dando la mano, mentre qui è raro, ci si deve inchinare, e se si porge la mano spesso non sanno cosa fare. Se incontri un amico in Italia lo abbracci, qui spesso sembra di abbracciare un palo perché l'abbraccio non è nella loro cultura” – racconta con un sorriso Francesco – “E poi ci sono una serie di norme non scritte che bisogna sapere e rispettare per non incappare in brutte figure, oltre alla proprietà di linguaggio che va saputo usare a seconda della persona con cui parliamo. Purtroppo uno degli aspetti negativi del Giappone è che la società ruota attorno al lavoro, perciò i ritmi sono serrati e le ferie limitatissime”.
Durante il racconto, Francesco si sofferma anche sull’avventura intrapresa per arrivare: 109 giorni di viaggio da Montevarchi a Tokyo attraverso 12 nazioni, per un totale di 21.000 chilometri in sella alla sua Hyper Ténéré, vincendo la scommessa di arrivarci con meno di 3.000 euro di budget. “Mi ha donato tra le sensazioni più forti che potessi immaginare, dalla rabbia alla gioia furiosa, dalla disperazione alla soddisfazione più intensa. Alcuni mi dicono che sono ispirazione per loro, io rispondo che la vita è fatta di persone ed ognuna ha contribuito alla mia stessa ispirazione e formazione. Ricordo con un sorriso l'incidente in Turchia nel lago salato che mi ha donato la forza di proseguire e ha segnato la svolta in positivo del viaggio, nonostante potesse decretarne la fine. Ricordo la semplicità dell’accoglienza del popolo nella più grande nazione del mondo: gente povera di mezzi ma ricca di spirito. Ricordo la sensazione di disorientamento, e attrazione al tempo stesso, evocate da un paese mistico come la Mongolia. E la commossa felicità di quando ho messo le ruote sull'asfalto giapponese e l'accoglienza alla sede della Yamaha”, ha concluso Francesco.
E la fedele compagna di viaggio, la sua Hyper Ténéré? “Durante il viaggio l'ho vista a volte come l'unica presenza "viva" con cui potessi avere una relazione, a volte come una fredda macchina votata al solo perseguimento di un obiettivo. Adesso mi rimane qualche mese di assicurazione e importazione temporanea in Giappone, dopodiché dovrò deciderla se rispedirla “a casa” o se importarla definitivamente, operazioni che entrambe potrebbero costarmi l'equivalente del valore di mercato stesso della moto. È come una veterana, una grande combattente che ha maturato età ed esperienza durante un lungo periodo di addestramento e di missioni”.
Ora la vita di Francesco è qui, tra i quartieri di Shinjuku e Shibuya. La mancanza degli affetti e dell’Italia c’è, anche se ha trovato un po’ di Montevarchi inaspettatamente anche in Giappone. “Oltre alla famiglia, mi mancano l'atmosfera, i ritmi più rilassati, il buon cibo e soprattutto la storia e la natura che si fiuta ovunque, mentre qui la storia è spesso cancellata per far posto alla modernità e la natura mai lasciata al caso,ma sempre curata e fin troppo artificiale. L'Italia ha ancora una buona reputazione, anche se purtroppo non mancano cattivi esempi, motivo per cui ottenere il visto è sempre più difficile. Da molti punti di vista siamo visti come il paradiso, sia per quanto riguarda le importazioni, sia per il nostro paese stesso: amano il nostro bel vivere, la nostra storia, gastronomia, moda, purtroppo rimangono stupiti da come funzionano (o meglio dire non funzionano) molti servizi della società moderna. Molti conoscono Montevarchi, in primis per l'outlet di Prada, e poi in un ristorante di Shibuya ho trovato pure dell'olio di Rendola…incredibile no?”.
Cosa dire allora ai giovani come lui? “A un coetaneo consiglierei semplicemente di seguire l'ispirazione e il proprio sogno, qualunque esso sia, i modi per raggiungerlo sono tanti e stimolano la creatività personale: la meta non è mai quello che ci si aspettava, ma spesso è qualcosa di più” – conclude Francesco – “Il giorno della partenza, l’unico mio desiderio era quello di non partire! Sapevo di perdere gli amici di sempre, la famiglia, la mia terra, per un tempo che non avrei saputo definire.
Ma sarebbe stato un errore clamoroso, mi sarei perso una frazione di vita che poi non avrei più avuto il coraggio di riprendere, tra grandi difficoltà e incredibili soddisfazioni posso dire di aver trovato una via, ma prima è stato necessario perdersi, e perdere molto”. Così come diceva Tiziano Terzani, suo riferimento, con la frase “Finirai per trovarla la via, se prima hai il coraggio di perderti".
“Mi ritengo una persona fortunata, ma il messaggio che vorrei che trasparisse è che la fortuna bisogna andarsela a prendere, così come i propri sogni: sognate, date vita alle vostre aspirazioni. Per adesso penso che rimarrò qui un tempo sufficiente per ripagare lo sforzo dell'azienda nello sponsorizzarmi il visto e per maturare l'esperienza necessaria a un eventuale trasferimento, quindi per almeno due o tre anni non se ne riparla".
Ma qualche giorno di permesso è riuscito a ottenerlo per un brevissimo rientro in Italia: Francesco dà appuntamento a sabato 2 maggio alla Sala Filanda della Ginestra a Montevarchi per una serata di racconti su dettagli, immagini, storie e curiosità direttamente da Tokyo.