Tubature vecchie di quarant’anni, realizzate in cemento-amianto. Sono presenti un po’ ovunque, compreso il Valdarno. Nessuna legge impone però limiti alla presenza di amianto nell’acqua potabile. Eppure i rischi per la salute non sono nulli: perciò, di fatto, sarebbe meglio che l’amianto nell’acquedotto pubblico non ci fosse proprio
Che l'amianto sia presente nelle tubature dell'acquedotto pubblico, in Valdarno come nel resto della Toscana, è questione provata e certa. Nella sola rete gestita da Publiacqua sono 223 i chilometri di tubatura in amianto o in cemento-amianto (su un totale di 9.800 chilometri totali): e in Valdarno ci sono in tutto una cinquantina di chilometri, la maggior parte dei quali (23,418 km) localizzati a Montevarchi, dove rappresentano il 10% del totale delle tubature. (Qui, qui, qui e qui le tabelle con le localizzazioni complete)
Comune | Km di tubature in amianto | Incidenza sul totale |
---|---|---|
Montevarchi | 23,418 | 10% |
Reggello | 10,886 | 5% |
Loro Ciuffenna | 10,801 | 5% |
Incisa Valdarno | 2,966 | 1% |
Terranuova Bracciolini | 0,786 | 0% |
Castelfranco di Sopra | 0,457 | 0% |
San Giovanni Valdarno | 0,417 | 0% |
Figline Valdarno | 0,111 | 0% |
fonte: www.perunaltracitta.org
"Auspicabile sostituzione".
Alla luce di questi numeri, perché quell'amianto è ancora nell'acquedotto pubblico? Rispondere a questa domanda è più complicato. Da una parte (non) ci sono le normative: nessuna legge obbliga in Italia il gestore delle tubature alla sostituzione. Dall'altra le preoccupazioni per la salute pubblica: quanto si rischia, utilizzando acqua potabile che attraversa tubature in amianto? Studi che certifichino con precisione la correlazione fra acqua contaminata di amianto e insorgenza di tumori (vedremo più avanti), ad oggi non ci sono. Ma questo non vuol dire che i rischi per la salute siano inesistenti. "Ferme restando tutte le premesse, è comunque auspicabile una sostituzione delle tubature in amianto", dice la dottoressa Maria Teresa Maurello, Direttore dell'Unità di Igiene e Sanità pubblica della Asl8, da noi intervistata. Quali sono le premesse? Vediamole.
La normativa.
"Attualmente in Italia non c'è una normativa che stabilisca un limite del contenuto di amianto nell'acqua potabile", spiega la dottoressa Maurello. La norma di riferimento, infatti, è la 257/92 (e successivi decreti attuativi) che ha bandito l'amianto. All'Allegato 3, si fa riferimento proprio a tubature e cassoni in cemento-amianto destinati al trasporto e al deposito di acqua potabile. E si legge: "Studi a livello internazionale su popolazioni esposte, attraverso l'acqua potabile, a concentrazioni di fibre di amianto variabili da 1 milione a 200 milioni di fibre/litro, provenienti sia da sorgenti naturali contaminate che dalla cessione da parte di condotte o cassoni in cemento-amianto, non hanno fornito finora chiare evidenze di un'associazione fra eccesso di tumori gastrointestinali e consumo di acqua potabile contenente fibre di amianto. L'interpretazione dei dati ottenuti dal complesso di tali ricerche è a tutt'oggi un problema dibattuto sul quale non vi è unanimità di vedute".
Il parere dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ad oggi il principale riferimento internazionale in materia è il documento “Linee guida per la qualità dell’acqua potabile” dell’OMS, pubblicato nel 1994, nel quale si legge: “Non esiste alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile, pertanto, stabilire un valore guida fondato su delle considerazioni di natura sanitaria, per la presenza di questa sostanza nell’acqua potabile”. Concetto ribadito anche nei successivi aggiornamenti (Linee guida sulla qualità dell’acqua, Oms 2011). In linea con la posizione espressa dall’Oms, la Comunità europea con la direttiva 98/83/CE, recepita dal decreto legislativo 31/01 dove sono normate tutte le condizioni necessarie a garantire la distribuzione di acqua potabile sicura, non considera l’amianto un parametro da controllare e non ne fissa i limiti.
La risoluzione dell'Unione Europea.
Limiti di legge non ci sono, ma questo, va ribadito ancora, non vuol dire che i rischi per la presenza di amianto siano nulli. E lo si capisce leggendo la Risoluzione del Parlamento Europeo 2012/2065(INI), "sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente". Nel capitolo dedicato infatti al riconoscimento delle malattie legate all'amianto, si legge: "Si sottolinea che tutti i tipi di malattie legate all'amianto, come il tumore al polmone e il mesotelioma pleurico – causati dall'inalazione di fibre di amianto in sospensione […] – ma anche diversi tipi di tumori causati non soltanto dall'inalazione […], ma anche dall'ingestione di acqua contenente tali fibre, proveniente da tubature in amianto, sono stati riconosciuti come un rischio per la salute e possono insorgere dopo alcuni decenni, e in alcuni casi addirittura dopo oltre quarant'anni".
Considerazioni dal punto di vista sanitario.
"L'ingestione di fibre di amianto – spiega ancora la dottoressa Maurello – è stata al centro di studi che, ad oggi, non hanno dimostrato abbia conseguenze dirette come l'insorgenza di tumori all'intestino. Si ritiene perciò che il rischio sia molto basso. Resta però la questione dell'inalazione di fibre in sospensione". Eccolo, infatti, l'altro nodo: chi si fa la doccia respira vapore acqueo, e di conseguenza potrebbe inalare anche fibre di amianto. E dunque, la pericolosità di questa sostanza nelle tubature torna a sollevare pesanti interrogativi. Quanto rischiano i cittadini che abitano in zone in cui l'amianto è presente nelle tubature?
Lo studio toscano.
"Alcuni anni fa, direi almeno quindici, proprio Arpat ha effettuato in tutta la Toscana dei prelievi di acqua potabile per il controllo della presenza di fibre di amianto – ricorda la dottoressa Maurello – lo studio ha interessato (con riferimento al territorio della Asl8) gli acquedotti di Arezzo e Montevarchi. Da quello studio è emerso che la presenza di fibre è trascurabile, modesta in valore assoluto e comunque minore di quella misurata in altri stati, come ad esempio gli Stati Uniti". Il riferimento agli Stati Uniti è proprio relativo ai numeri: l'Environmental Protection Agency statunitense ritiene infatti accettabile un limite di amianto nelle acque potabili fino a 7 milioni di fibre/litro.
"Results of a survey on asbestos fibre contamination of drinking water in Tuscany, Italy". Questo il titolo compelto della ricerca pubblicata nel 1998 relativa alle acque potabili in Toscana, come conclusione dello studio del Dipartimento Arpat di Firenze. Pur non essendo un parametro previsto dalla legge per valutare le acque potabili, la regione Toscana finanziò questa ricerca perché il cemento-amianto è la componente di chilometri di tubazioni, e perché alcune acque hanno caratteristiche 'aggressive' e possono disgregare la struttura delle tubazioni e liberare le fibre. Furono per questo raccolti ed analizzati 59 campioni di acque potabili (tra cui alcuni prelevati a Montevarchi) per la determinazione del contenuto in fibre di amianto. Nel 24% dei campioni è stata rilevata la presenza di fibre di amianto, che nel 79% dei casi era attribuibile al rilascio da parte delle tubazioni in cemento-amianto. Il valore massimo riscontrato (a Livorno) fu di 37.700 fibre/litro, ben al di sotto di quel limite di 7 milioni di cui parla l'EPA americana.
Questione di tempi?
La dottoressa Maria Teresa Maurello lo ribadisce: "La presenza di amianto misurata in quello studio è considerata trascurabile dal punto di vista scientifico, per questo si ritiene che anche il rischio di inalazione di fibre di amianto sia molto basso. Ad ogni modo, dal punto di vista sanitario è certamente auspicabile una sostituzione delle tubature in amianto". Insomma, nessun allarme per la salute, ma togliere l'amianto dall'acquedotto sarebbe sicuramente meglio. Publiacqua, in una nota di qualche settimana fa, scriveva: "Procediamo alla sostituzione con tubazioni in ghisa ogni qual volta le preesistenti tubazioni in amianto-cemento non risultano più efficienti. La sostituzione massiva di tali tubazioni, circa 223 Km, comporterebbe un impegno di circa 200 milioni di euro". Dunque: i tubi in amianto vengono cambiati solo quando si verifica una rottura. Ma di questo passo, quanti anni ci vorranno perché quei 223 chilometri siano tutti sostituiti da altri, non in amianto?
I tempi, forse, contano davvero.
Perché quello studio, l'unico realizzato in Toscana, risale a 16 anni fa. Nel frattempo, però, le tubature potrebbero essere ulteriormente degradate. E sicuramente lo saranno di più, andando avanti con gli anni. Quindi la dispersione di fibre di amianto nell'acqua potrebbe essere, già oggi, molto maggiore. Forse comunque al di sotto dei limiti introdotti negli Stati Uniti (gli unici a cui possiamo riferirci, visto che in Italia non ci sono), ma probabilmente più alta degli anni '90. E allora: non sarebbe opportuno prevedere a questo punto un piano di sostituzione programmato, con una scadenza precisa, a distanza di pochi anni? Nessuna legge obbliga il gestore a farlo, è chiaro. Ma un investimento del genere dovrebbe essere considerato opportuno almeno dal punto di vista della salute pubblica.