La storia della piccola chiesetta di San Giovenale, immersa nell’omonimo borgo reggellese, è intrecciata da seicento anni a quella del Trittico del Masaccio, la prima opera conosciuta dell’artista, che realizzò proprio per questa chiesina nel 1422. Le sue mura, nonostante le modifiche anche notevoli subìte nel corso dei secoli, hanno continuato a custodire gelosamente quel Trittico, che soltanto nel 1961 fu ‘riscoperto’ e attribuito poi definitivamente al Masaccio.
Una storia dentro un’altra storia, quella di una chiesa edificata probabilmente prima dell’anno Mille, anche se le notizie arrivate fino a noi sono poche per una datazione precisa. A farci da guida alla sua scoperta, grazie alla sua lucida memoria, è Don Ottavio Failli, che riapre le porte della chiesa di San Giovenale e ci accompagna al suo interno.
Intitolata a San Giovenale, vescovo di Narni, vissuto nel V secolo, la chiesa finì per dare il nome al paese intorno: un gruppo di abitazioni, fra le quali spicca la casa “signorile” della ricca famiglia Castellani. “Erano commercianti con l’Arabia, e non è escluso che Masaccio anche grazie a loro sia rimasto colpito dalle lettere e dalla cultura arabe – racconta Don Failli – proprio i Castellani nel XV secolo furono i committenti e finanziatori, insieme ai Carnesecchi, dell’opera del Masaccio”.
Curioso come l’impianto stesso della chiesetta sia cambiato radicalmente nei secoli, tanto che adesso la chiesa ha due porticati: uno all’ingresso e uno sul retro. È il frutto di una serie di modifiche, che hanno riguardato la struttura. “Della struttura originaria – spiega Don Failli – rimangono forse soltanto alcune pietre del muro esterno, ma la chiesa ha cambiato orientamento per due volte: nel 1862 un restauro la invertì, spostando l’ingresso su un portico che fu realizzato in quella che, fino a quel momento, era stata l’abside”.
“Ricordo bene l’aspetto che aveva la chiesa con quella modifica – racconta Don Failli – perché io l’ho conosciuta così, come è rimasta fino al restauro degli anni Sessanta a cura di Morozzi, dopo che il Trittico era stato portato a Firenze per il restauro. Dove oggi c’è il portico, infatti, c’era l’abside con l’altare, e dietro all’altare stava appoggiato a terra il Trittico”.
In questa foto d’epoca dall’archivio personale di Don Failli, si vede l’altare maggiore nell’abside, dietro al quale veniva conservato il Trittico.
In questo documento video, tratto da un dvd prodotto dal Museo Masaccio d’Arte Sacra di Cascia Reggello, le immagini furono girate a San Giovenale dopo la ‘scoperta’ del Trittico, ma prima del restauro della chiesa, e si vede dunque l’aspetto esterno che aveva allora la chiesina, invertito rispetto a quello attuale: il restauro di Morozzi infatti ha riportato di nuovo la chiesa all’orientamento originario, abbattendo l’abside rotonda e riaprendo l’ingresso.
Sempre suggestiva la storia della ‘scoperta’ del Trittico del Masaccio, che Don Failli ricorda molto bene: “Quel trittico stava sempre appoggiato dietro all’altare, a terra. Per certe celebrazioni, come ad esempio per i Vestri, si prendeva e appendeva ad un chiodo sull’altare maggiore. Il primo ad avere l’intuizione che potesse trattarsi di un Masaccio fu Padre Angelo Polesello, nell’aprile del 1958 – ricorda Don Failli – si trovava qui a San Giovenale insieme a Don Lombardi e ad alcuni giovani, mentre io ero in seminario; osservò l’opera al lume di candela, vide i capelli biondi della Madonna e disse: ‘ma questo è un Masaccio!’. Fu poi nel 1961 Luciano Berti, allora ispettore della Soprintendenza di Firenze, a prenderlo in carico, studiarlo e attribuirlo definitivamente a Masaccio, per poi procedere al restauro. La cosa bella è che durante il restauro, togliendo quella cornice di legno ormai annerita, Luciano Berti e Umberto Baldini si comunicavano con comprensibile meraviglia quello che veniva via via scoperto: c’era infatti la data di realizzazione, 1422, il 23 aprile, e dunque questa è la prima opera conosciuta del Masaccio, per la quale si celebrano quest’anno i seicento anni”.
Dal 1965 al 1988 il Trittico (qui sopra Don Failli con la copia realizzata per la chiesa di San Giovenale) rimase nei magazzini della Galleria degli Uffizi, poi nel 1988 fu finalmente riportato a Reggello e collocato all’interno della Pieve di Cascia, dove è rimasto fino all’apertura del Museo di Arte Sacra che è diventato la sua sede definitiva.