05, Novembre, 2024

Psichiatria: il Dott. Pietro Carmellini approfondisce alcune importanti tematiche

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Laureato in Medicina e Chirurgia e specializzatosi in Psichiatria presso l’Università degli Studi di Siena, il Dottor Pietro Carmellini ha frequentato il King’s College University di Londra, dove ha seguito progetti di ricerca e studi clinici farmacologici sul trattamento dei disturbi dell’umore quali depressione e disturbo bipolare. Attualmente è dottorando in Medicina Molecolare presso l’ateneo senese, cura l’aggiornamento continuo e partecipa attivamente alle pubblicazioni scientifiche, oltre a svolgere attività ambulatoriale presso il centro LN Medical Service di Castelnuovo di Sabbioni

Dott. Pietro Carmellini, specialista in psichiatria

Dottore, quali sono le patologie che tratta maggiormente?
“Mi occupo in modo trasversale di varie patologie dello spettro psichiatrico, in particolare di disturbi dell’umore, schizofrenia, psicosi, disturbi ossessivi compulsivi e disturbi d’ansia e panico. Quest’ultimi registrano oggi un’incidenza del 17% sulla popolazione mondiale e stanno avendo una diffusione tale da non poter essere sottovalutati. Si tratta di un dato significativo che è cresciuto anche contestualmente alla pandemia, durante la quale, l’età media delle persone interessate si è abbassata di molto. Disagi legati a questo tipo di disturbo in taluni casi cominciano a manifestarsi già in tarda adolescenza, tuttavia i disturbi d’ansia sono facilmente identificabili e in genere c’è una forte consapevolezza da parte di chi ne soffre a tal punto che ha interesse a risolvere il problema”.

Quali gli altri disturbi diffusi?
Menzionerei senza dubbio i disturbi della personalità, quali ad esempio il borderline, narcisistico e dipendente che richiedono una rapida individuazione al fine di contenerne, se non evitarne del tutto, effetti peggiorativi sugli altri disturbi psichiatrici eventualmente presenti. In ogni caso una precoce diagnosi di un qualsiasi disturbo serve sempre a scongiurare il decorso di cronicizzazione dello stesso. Un’altra patologia diffusa e che oggi è catalogata in modo specifico è il disturbo ossessivo compulsivo che fino a poco tempo fa veniva fatta rientrare nella macro categoria dei disturbi d’ansia. I pazienti che ne soffrono sono afflitti da pensieri ricorrenti e intrusivi di svariata natura che generano stati d’ansia e, per difesa, comportamenti ripetuti e stereotipati per poter sedare quelle stesse ossessioni e il derivante stato d’angoscia
“.

Quali sono i campanelli d’allarme di un disturbo d’ansia e panico?
“Sono disturbi che si manifestano in situazioni imprevedibili attraverso segnali quali tremori, palpitazioni, senso di oppressione, sudorazione eccessiva e senso di soffocamento. Il fatto che ne soffrano molto persone di età giovane, quindi più abituate a condividere e parlare del disagio che vivono, lo ha in un certo senso “normalizzato” rendendolo ancor più riconoscibile e dunque di più facile risoluzione. Questa attenzione è molto importante perché un disturbo d’ansia può spesso inserirsi in quadri di comorbilità e dunque, se non individuato e curato adeguatamente, andare ad aggravare in modo significativo la prognosi e il decorso di patologie quali bipolarismo e depressione, fino a indurre, nei casi più estremi, al suicidio”.

La salute mentale è un tema molto dibattuto a più livelli, ma cosa sta accadendo nel mondo?
“C’è un dato, quello legato al disturbo depressivo, che ci induce a fare vari ragionamenti sia di tipo clinico che sociale. Si calcola che 280 milioni persone nel mondo stiano soffrendo di questa patologia e si stima che una persona nell’arco della propria vita ha il 15% di probabilità di andare incontro a un episodio di depressione contrassegnato da umore triste, mancanza totale di piacere (in diversi ambiti della vita quotidiana), apatia, difficoltà di concentrazione, fatica nello svolgimento di attività quotidiane, disturbi del sonno, senso di colpa eccessivo e pensiero ricorrente di morte. Data questa tendenza, la World Health Organization prevede che entro il 2030 il disturbo depressivo diventerà la principale causa di instabilità al mondo”.

E in Italia qual è l’approccio legato a questa tematica?
“In Italia, rispetto ad altri paesi europei, c’è ancora molta stigma riguardo alla salute mentale in genere. Si riscontra difficoltà nel veicolare e nel diffondere in modo da esser recepito efficacemente il messaggio che la malattia psichiatrica ha pari dignità di quelle di altra natura, difatti il nostro cervello si ammala proprio come si possono ammalare gli altri organi, e come tale può essere curata. È fondamentale che entri a far parte sempre di più del senso comune l’idea che per ogni patologia psichiatrica esiste un trattamento che, grazie al monitoraggio e alla consapevolezza del paziente, può portare alla guarigione. I percorsi psichiatrici aumentano la loro efficacia quando vengono intrapresi agli esordi della malattia e soprattutto con la collaborazione del paziente. Queste sono due condizioni fondamentali per prevenire successive ricadute ed evitare che il disturbo si cronicizzi divenendo più resistente al trattamento”.

Tra i suoi ambiti di specializzazione c’è il disturbo bipolare, ce ne parli meglio?
Il disturbo bipolare, meglio conosciuto come “bipolarismo”, è molto frequente nella popolazione, ma spesso non viene riconosciuto o talvolta sottovalutato. La personalità bipolare si manifesta attraverso l’alternanza di fasi di estrema euforia e momenti invece di completa apatia e depressione. Nella fase maniacale o ipomaniacale, quella cioè caratterizzata da iperattività, esuberanza, energia nel prendere iniziative, creatività e generale eccitazione, il paziente agisce in modo sconsiderato, prendendo decisioni avventate o facendo investimenti non controllati ad esempio, si sente nel pieno delle forze e delle capacità e non pensa che si tratti di un comportamento patologico, ma tutt’altro. La consapevolezza in tal senso, e dunque la ricerca di un supporto clinico, talvolta suggerito dall’intervento del medico di base, scatta invece nella fase depressiva che peraltro ha una durata nel tempo maggiore della precedente fase“.

Quando entra in gioco lo psichiatra?
“Lo psichiatra subentra quando il disagio o la presunta patologia psichiatrica assumono dei tratti invalidanti tali da impattare nel funzionamento della persona e per questo non possono essere ignorati o gestiti attraverso altri percorsi quali ad esempio psicoterapia. Talvolta infatti può verificarsi che uno psicoterapeuta, che ha in carico una persona, valuti che la sua terapia non sia totalmente efficace e quindi la indirizza verso un percorso psichiatrico, altre volte è il medico di base che dopo un’anamnesi o la persistenza di certi sintomi in un paziente, suggerisce questa strada. In altri casi è il paziente stesso che sentendo di non funzionare più nella vita quotidiana (relazioni, lavoro, famiglia, ecc.) si rivolge direttamente allo psichiatra. Questo succede soprattutto con persone che hanno già sofferto di disturbi di un certo tipo e che sono particolarmente consapevoli di quello che stanno attraversando”.

Cosa succede durante la prima visita?
“Il primo incontro è molto approfondito e si svolge in due momenti. Nella prima parte si va ad indagare sulla storia clinica del paziente, sui sintomi presenti, su quelli riportati in passato e sulle eventuali terapie pregresse. Nella seconda parte si passa invece alla costruzione personalizzata della terapia farmacologica così da garantirne l’aderenza. L’obiettivo, ai fini di un trattamento che possa risultare il più efficace possibile, è creare una terapia che sia perfettamente conforme alle esigenze del paziente dal punto di vista medico e farmacologico e che quindi tenga anche in considerazione gli effetti collaterali. Questo perché i farmaci che vengono somministrati per il trattamento di patologie psichiatriche non sono sintomatici, ma curativi, il che significa che devono essere assunti seguendo un determinato dosaggio e una certa continuità per innescare il meccanismo della progressiva cura della patologia. Una volta stabilita e avviata la terapia, si programmano visite periodiche di monitoraggio e misurazione dell’efficacia del trattamento. È sempre importante ricordare al paziente che può passare del tempo prima di avvertire i primi benefici, si tratta di un regolare processo fisiologico propedeutico ad un mantenimento prolungato del risultato atteso”.

 

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