Indagine condotta per quasi 3 anni, su delega della Procura Distrettuale Antimafia di Firenze, Nell’inchiesta finito il sito di Levane nel Comune di Bucine
“Associazione a delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa, dalle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti all’inquinamento ambientale ed dall’impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari”: sono i reati contestati nell’ambito dell’operazione, denominata “KEU” che ha portato a 6 misure di custodia cautelare (una in carcere e cinque agli arresti domiciliari), a 7 misure cautelari di interdizione dall’attività imprenditoriale, a 2 sequestri preventivi di impianti di gestione di rifiuti e ad oltre 60 perquisizioni. Eseguito anche un provvedimento di sequestro per oltre 20 milioni di euro e numerose perquisizioni ed ispezioni personali e domiciliari nelle provincie di Firenze, Pisa, Arezzo, Crotone, Terni e Perugia.
E' il filone dell'indagine condotta per quasi 3 anni, su delega della Procura Distrettuale Antimafia di Firenze, dai carabinieri del NIPAAF del gruppo CC Forestale di Firenze, del Nucleo Operativo Ecologico di Firenze e della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Firenze Aliquota Carabinieri. Un'indagine che vede coinvolto anche il Valdarno.
In particolare le indagini hanno messo in luce “che i rifiuti derivanti dal trattamento dei fanghi della depurazione degli scarichi delle concerie consistevano in ceneri che presentano concentrazioni di inquinanti tali da non poter essere riutilizzati per recupero in attività edilizie di riempimento di rilevati o ripristini ambientali, ed invece erano inviati ad un impianto di produzione di materiali riciclati che provvedeva a miscelare questo rifiuto con altri inerti e a classificarlo materia prima per l’edilizia, così da essere impiegato in vari siti del territorio con concreto pericolo di contaminazione del suolo e delle falde”.
Le ordinanze di custodia cautelare hanno riguardato anche la “Lerose srl” di Levane, nel comune di Bucine: in carcere l'amministratore unico Francesco Lerose, 58 anni, domiciliato a Pergine, anche gestore dell'impianto di inerti di Pontedera, mentre ai domiciliari il figlio, Manuel, 27 anni, gestore dell'impianto di riciclaggio inerti di Levane, e la moglie Anna Maria, 48anni, responsabile amministrativa di tutte le aziende della famiglia.
Per i capi d'imputazione, il GIP del Tribunale di Firenze, Antonella Zatini, nell'ordinanza sulla richiesta delle misure cautelari scrive, con particolare riferimento a sito di Levane: “Traffico organizzato di rifiuti presso l'impianto Lerose: la produzione degli aggregati e la abusiva declassificazione in materia prima seconda di materiali che conservano le caratteristiche del rifiuto e che vengono accumulati nei terreni limitrofi all'impianto in ingenti quantità con formazione di una discarica abusiva; traffico organizzato di rifiuti dei titolario dell'impianto Lerose con spandimento diretto in ambiente dell'aggregato riciclato non legato contaminato, abusivamente classificato materia prima seconda, in siti per recuperi ambientali e rilevati e in terreni agricoli”.
Per alcune imputazioni relative proprio al sito di Levane, poi, sta procedendo la Procura di Arezzo e nello specifico: “Con condotte abusive, consistite nel porre in essere un'attività di gestione di rifiuti difformi rispetto a quelli per cui l'impianto era autorizzato, ovvero senza alcuna autorizzazione allo smaltimento e senza una regolare procedura di autorizzazione al recupero ed in particolare ponendo in essere una continuativa attività di miscelazione abusiva di rifiuti industriali non pericolosi con altri rifiuti pericolosi per occultarne l'origine, anche in considerazione del fatto che l'impianto non era autorizzato a riceverli, e nell'ammassarli nell'impianto in grossi cumuli, dai quali i mezzi di trasporto li caricavano per poi trasferirli nel terreno agricolo adiacente come se fosse materiale inerte riciclato privo di alcuna contaminazione e idoneo a modellamenti morfologici o miglioramenti fondiari, mentre invece presentavano natura inquinante e rientravano in numerose classi di pericolosità”.
Circostanza aggravante è “essere a disposizione della cosca Grande Aracri”. Il GIP scrive ancora: “Francesco Lerose, amministratore unico della soc. Lerose srl imprenditore a disposizione della cosca Grande Aracri, Lerose Manuel e Faragò AnnaMaria, quali stretti collaboratori del padre e del marito, mantenendosi tutti in stretto contatto con gli affiliati della cosca, ed in particolare con l'affiliato Lerose Gaetano, imprenditore di Cutro, loro cugino, da cui prendevano ordini e a cui si mettevano a disposizione nell'interesse della cosca stessaper riciclarne o occultarne i proventi nelle proprie imprese e per erogare nelle casse dell'organizzazione criminale, almeno in parte, gli illeciti profitti ricavati dalla propria attività imprenditoriale di gestione abusiva di rifiuti cion creazioni di illecite provviste, ottenendone nel contempo protezione e utilità”.
Il GIP del Tribunale di Firenze si sofferma infine ancora una volta sulla “vicenda dell'interramento e abbandono di rifiuti nell'area contigua all'impianto Lerose di Levane: 16.308 metriquadri dove, è stato stimato, sono state depositati 9.337 tonnellate di rifiuti di cui 2930 pericolosi.
“Quanto al pericolo di compromissione delle matrici ambientali il consulente stabiliva che la condotta posta in essere con il riporto e l'abbandono di rifiuti, anche pericolosi, produceva l'evento di pericolo e di danno, seppur reversibile, percepibile e non scarsamente significativo della biodiversità agraria, della fauna e della flora nelle aree in sequestro; i fatti mostravano reale e concreto pericolo di produrre inquinamento ambientale, compromissione o deterioramento significativo dell'ambiente, danno o disastro ambientale, conseguente all'illecito abbandono di rifiuti anche pericolosi. Inoltre, stante il deposito incontrollato di tali rifiuti, classificati pericolosi per la presenza di sostanze cancerogene, sussisteva un pericolo concreto per la salute umana, mentre l'alterazione dell'ecosistema, in particolare della biodiversità agraria e della flora, era dimostrata in quanto le attività di escavazione e abbandono avevano creato un 'suolo' inadatto alla coltivazione”.