Convivenza forzata e disoccupazione hanno incrementato i casi di violenza fisica sulle donne e la difficoltà per le vittime di soprusi ad accedere ai centri antiviolenza. Ne abbiamo parlato con l’avvocatessa Piera Santoro, vicepresidente dell’associazione Pronto Donna
Un quadro inquietante, in cui emerge un aumento della recrudescenza perpetrata sulle donne vittime di violenza nel 2020: un fenomeno dai risvolti gravissimi che tocca anche il Valdarno, causa lockdown e disoccupazione. A parlarne è l'avvocatessa Piera Santoro, vicepresidente dell'associazione Pronto Donna, che si è soffermata sui casi di violenza fisica di chi ha avuto accesso alle procedure H72 e sulla tendenza, sempre più preoccupante a causa della pandemia, della violenza assistita da minori.
Nel 2020 sono state accolte dal servizio emergenze H72 20 donne, accompagnate da 24 minori e in 2 casi le donne erano in stato interessante: di queste il 14,29% (3) erano dalla zona Valdarno. Il 78,10% delle donne accolte sono europee, di cui il 38,10% italiane, l'età media è di 41 anni. Rispetto all'esito del percorso: il 66,67% (14) non hanno proseguito nel percorso di uscita dalla violenza, alcune hanno successivamente contattato il Centro Antiviolenza; il 33,33% (7) hanno proseguito nel percorso. Nello specifico di queste ultime: il 4,76% (1) ha proseguito in H72 tramite convenzione ASL; il 4,76% (1) è stata inserita in alloggio della Caritas; il 4,76% (1) è stata inserita nella struttura di seconda accoglienza Casa Rosa; il 19,05% (4) sono state inserite in Casa Rifugio.
L'effetto pandemia si è fatto particolarmente sentire causando difficoltà nelle donne vittime di soprusi, a confermarlo è la vicepresidente Santoro: "Vari lockdown, divieti di spostamenti, smartworking, tante ore a contatto tra le mura domestiche, disoccupazione dove il 90% dei posti di lavoro persi sono di donne. Ecco, in questa situazione abbiamo avuto molti meno contatti, rispetto al 2019 nel 2020, in piena emergenza Covid, le donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza sono diminuite molto, non perché sia diminuita la violenza ma perché rimanendo in casa con il maltrattante hanno avuto maggiori difficoltà a fare accesso alla rete antiviolenza, rivolgendosi ad uno sportello o un centro antiviolenza. Dobbiamo immaginarci una donna che perde il lavoro, costretta a stare in casa con i bambini accanto in didattica a distanza, si crea una situazione psicologica in cui è difficile prendere una decisione."
"Questa pandemia ha messo un ulteriore bavaglio alle donne – continua Santoro – a parte la difficoltà fisica di accedere alle strutture, centri violenza e forze dell’ordine, c’è stato proprio un ingabbiamento sociale, con le donne vittime di violenza che hanno dovuto mettere in conto due requisiti fondamentali: un posto dove dove andare e una certezza economica. La pandemia ha tolto tutto. Questo spiega i meno accessi che abbiamo avuto."
La punta di un iceberg che il lockdown ha fatto crescere e in cui si è affacciata un tipo di violenza più cruda e fisica afferma Santoro: "C’è stata una recrudescenza della violenza, mentre nel 2019 le donne che venivano nel centro antiviolenza segnalavano molta violenza psicologica, stalking e la violenza fisica era scesa, adesso invece abbiamo assistito ad un aumento, confermatoci dalle forze dell'ordine ed il centro antiviolenza proprio della violenza fisica; se prima riuscivamo ad intercettarla prima questa violenza, prima che si sfogasse, adesso non è più così. Quelli di cui parliamo sono casi emergenziali in cui sono intervenuti i carabinieri e i servizi sociali, poi successivamente le donne sono arrivate attraverso le procedure H72, un protocollo che prevede quando una donna arriva all’ospedale e denuncia violenza fisica, di attivare un protocollo per il quale la vittima viene messa in protezione, si chiama H72 perché viene ospitata per 72 ore in una struttura protetta e dà modo alla donna di capire se poi vuole entrare in casa rifugio con un percorso. È questa modalità di accesso che ci dice che è cambiata la violenza, perché chi accede in H72 arriva dalla violenza fisica."
Nonostante l'emergenza Covid le associazioni che garantiscono sostegno alle donne vittime di violenza non si sono fermate, come spiega Santoro: "Noi abbiamo fatto i salti mortali per continuare a garantire i servizi, gli sportelli ascolto donna e abbiamo sfruttato al massimo la tecnologia, però la piattaforma online ha un grosso limite: la donna è in casa e per la donna maltrattata mettersi davanti allo schermo di un computer a raccontare i fatti suoi è complesso, ci siamo dovuti inventare orari strampalati, piattaforme particolari, tutta una serie di cose per garantire alla donna la sicurezza e l’anonimato. È stato molto difficile. Anche perché a parte la difficoltà logistica di fare l'accesso, come fai a dirlo al compagno o coniuge? Prima si trovava una parentesi in cui assentarsi senza dare giustificazioni e passando inosservate come andare a lavoro, portare il bambino a scuola… Adesso vivendo 24 ore su 24 a casa col maltrattante, diventa più difficile trovare un momento di libertà. Una donna vittima di violenza, inoltre, va ricordato che è enormemente spaventata, con scarse risorse economiche e nella maggior parte dei casi con dei bambini, senza lavoro, con incertezze nel futuro, psicologicamente, come donna hai pensieri oggettivi come: Ma dove vado? Dove scappo?"
A preoccupare è anche la violenza assistita, un argomento che secondo Santoro dovrebbe essere affrontato molto di più: "Un problema su cui vorrei porre l’accento è la violenza assistita da minori: è un disagio enorme, oltre alla donna in questi casi ci sono altre vittime inconsapevoli che sono i bambini, soprattutto in questo periodo. Mentre prima la lite si faceva quando i figli erano a scuola, adesso i minori sono più coinvolti nelle violenze e si trovano catapultati in H72, in una struttura protetta, smarrendo i loro riferimenti quali parenti, amici e scuola come se fossero animaletti in gabbia. Si ritrovano in mano a degli estranei non capendo cosa sta succedendo e si chiedono perché devono scappare loro che sono le vittime."
"Mi rendo conto sia molto difficile in queste condizioni andare a denunciare, non è semplice – conclude Santoro – tuttavia il messaggio è quello: non dovete chiudervi, non dovete avere paura bensì continuare a denunciare e non aspettare che il problema diventi una tragedia, ai primi campanelli d’allarme bisogna attivarsi, non aspettare perché la situazione non si risolve da sola."
Nel frattempo la Conferenza Zonale dei Sindaci del Valdarno Aretino ha deliberato la nomina di una task force per contrastare la violenza di genere: nella task force per le emergenze sono compresi i servizi sociali, il codice rosa, una referente del centro antiviolenza, un rappresentante delle forze dell’ordine e una rappresentante della prefettura. L'istituzione della task force è proprio in risposta ai casi di violenza sulle donne registrati in Valdarno. Qui la delibera firmata dai sindaci del Valdarno.
Non solo, la provincia di Arezzo ha attivato un numero di telefono unico per tutte quelle donne che si trovano in situazioni di particolare difficoltà: componendo il numero un operatore sarà in contatto e pronto a intervenire. Qui l'articolo in dettaglio