Tra i reperti, uno scheletro di elefante quasi completo, il Mammuthus meridionalis, noto come ‘Gastone l’elefantone’, e il cranio della ‘Tigre dai denti a sciabola’. Il Paleontologico di Montevarchi arriva in una veste tutta nuova: ed un allestimento che regalerà inaspettate prospettive ai visitatori
Ci sono voluti sei anni di lavori, ma da sabato 6 dicembre tornano finalmente ad aprire le porte del Museo Paleontologico di Montevarchi. Una veste completamente rinnovata, un allestimento sorprendente, un nuovo concetto museale fanno da cornice ad una delle collezioni di reperti fossili più completa a livello europeo. Tutti estratti dall'immensa miniera a cielo aperto che è il Valdarno.
Forse non tutti sanni che il bacino valdarnese, tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore, ovvero tra 5,3 e 2,5 milioni di anni fa, ospitava una giungla equatoriale che si trasformò gradualmente in una tundra sotto la quale, per un singolare, fortunata combinazione chimico fisica, i resti degli antichi animali si fossilizzarono perfettamente.
Il lavoro di restauro appena concluso, dopo alcune pause e rallentamenti nel corso degli interventi, si deve ad un finanziamento della Regione Toscana e del Comune di Montevarchi, proprietario di gran parte della struttura dell’ex convento trecentesco di San Lodovico a Cennano, che ospita non solo il nuovo Museo, ma anche la sede dell'Accademia Valdarnese del Poggio.
Il Museo Paleontologico di Montevarchi trova origine intorno al 1809 a partire da una raccolta donata dal Monaco di Vallombrosa Luigi Molinari. Poco dopo Georges Cuvier, fondatore della paleontologia moderna, studiò questi primi reperti che erano allora conservati a Figline. Nel 1818 la raccolta, assieme alla sede dell’Accademia e al fondo librario nel frattempo costituitosi, fu trasferita nei locali attuali di Montevarchi e fu aperta al pubblico ufficialmente nel 1829. La raccolta ha poi continuato ad ampliarsi con nuove scoperte per lo più in ambito locale, a cui hanno contribuito in modo essenziale le tante segnalazioni da parte di contadini e abitanti del Valdarno.
Il Museo accoglie circa 2600 reperti. Fra essi si distinguono fossili vegetali e una ricca collezione di fossili animali, provenienti quasi esclusivamente dal Valdarno Superiore e di età compresa fra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore. Tra gli esemplari più interessanti del museo c'è il 'mammut', il gigantesco scheletro di elefante quasi completo con enormi difese della lunghezza di 320 centimetri, popolarmente noto anche come “Gastone l’elefantone”. E poi, il cranio della “Tigre dai denti a sciabola”; i crani di Hystrix etrusca, ed il cranio del Canis etruscu , il “Tipo”, cioè il primo che ha dato origine ad una nuova specie.
Una delle ultime acquisizioni consiste in resti fossili di Palaeoloxodon antiquus rinvenuto in località Campitello, a Bucine nel 2001, una scoperta importante perché accanto ad essi sono stati trovati tre strumenti litici con ancora i resti delle legature originali. La giovane elefantessa, subito popolare, è conosciuta come “La Giulia”.
L’allestimento originale, con una sistemazione “ottocentesca”, è stato sostituito da una versione moderna, capace di disegnare un percorso didattico in grado di stimolare l’interesse e arricchire la conoscenza del visitatore. Numerosi sono i disegni, gli schemi e soprattutto le ricostruzioni paleoambientali che si articolano lungo il percorso. Una serie di video, dislocati lungo il tracciato, ricostruiscono le cause e gli effetti delle oscillazioni glaciali-interglaciali, i caratteri della foresta equatoriale caldo-umida e diffusa nel Valdarno 3.1 milioni di anni fa e i caratteri delle singole specie rinvenute nella argille e nelle ligniti.
Prospettive scenografiche in cui le figure si compongono e si scompongono a seconda del punto di osservazione, ricostruzioni di uomini primitivi e multimedialità faranno da cornice capace di suggestionare il visitatore e di incantare soprattutto i piccoli. Il percorso del Museo Paleontologico è completato da una nuova sezione archeologica dedicata allo studioso locale Alvaro Tracchi, in cui sono esposti reperti etruschi provenienti dal territorio del Valdarno, ma anche dalla zona del viterbese; gli apparati didattici e la multimedialità permetteranno di proporre una didattica archeologica innovativa.
Infine la nascita di un laboratorio di restauro interno, che permetterà di monitorare lo stato di conservazione del materiale e di intervenire tempestivamente, ma anche di svolgere attività didattiche per bambini per lo sviluppo della manualità o corsi di formazione per adulti.