E’ stata presentata ieri la monografia “Il ponte sull’Arno a Rignano”. Uno studio a cura di Roberto Lembo che ripercorre la storia e le disavventure del ponte dal 1200 ai giorni nostri: “Un disastro ogni 15 anni ed il prezzo da pagare è stato altissimo”. La cronistoria di una struttura nata male e che ancora oggi deve essere messa in sicurezza. Dove l’Arno ha sempre vinto contro i migliori architetti e ingegneri.
In principio fu un guado, solo successivamente si sviluppò il paese. Otto secoli dopo, il ponte di Rignano è ancora lì, in tutta la sua precarietà in una lotta silenziosa e senza fine con le acque dell’Arno e la collina. Una storia che vede tre protagonisti – il fiume, il ponte e un paese – e che viene ripercorsa nella monografia “Il ponte sull’Arno a Rignano”. Uno studio di Roberto Lembo sullo “storico attraversamento del fiume e le sue infinite vicende strutturali”, che è stato presentato ieri dall’autore nella sala consiliare alla presenza di numerosi cittadini, della giunta comunale e del professore Paolo Pirillo.
Le due vite del ponte
“La storia del ponte si può dividere in due parti: una prima – a tutt’oggi solo ipotizzata – legata all’epoca in cui i Romani costruirono la deviazione dalla Cassia Vetus che, attraversato l’Arno nei pressi di Rignano, raggiungeva Firenze, evitando la curva che tale strada faceva andando oltre Pontassieve. Una seconda documentata da numerose testimonianze scritte. La prima è frutto di ipotesi che tendono ad escludere la costruzione di una strada così importante non corredata da uno stabile passaggio sull’unico grande fiume da attraversare magari solo in legno o con un ponte di barche”.
La seconda parte è documentata accuratamente – seppur con qualche decennio di vuoto, nei vari secoli: “dopo una sua prima citazione nel 1225, ancora non chiara del tutto per quanto riguarda la posizione – occorre arrivare al 1295, quando il ponte è rammentato da un notaio che rogava nel mercatale di Leccio. Dal 1300, dall’epoca medicea fino al ‘800 il ponte di Rignano ha sempre rappresentato uno snodo fondamentale non solo per il commercio ma anche per la transumanza. Ma che ha creato enormi problemi e grandi finanziamenti nel corso dei secoli per la sua instabilità. Da una parte per l’azione dell’Arno – “un torrente con sfrenate ambizioni di fiume” come lo ha descritto il cronista Sandro Bennucci – dall’altra soprattutto per l’incessante movimento della collina sul fianco destro.
Una escalation senza fine di disastri
“Se per gli altri ponti valdarnesi, ancorché più antichi, sono arrivati a noi ricordi più frammentari, le ricerche per quello rignanese ci hanno rivelato molti episodi della sua “seconda” e più nota vita. Una conoscenza che, più che alla sua importanza, lo dobbiamo prevalentemente ai tanti guasti causati dal movimento che la collina di destra ha operato verso il fiume e alle relative soluzioni – talvolta bizzarre – per rimetterlo in sesto, senza per questo interrompere la sequela di nuove e continue rovine”. Il prezzo da pagare – sottolinea Lembo – è stato altissimo: “Un complesso di interventi che, anche per l’oneroso aspetto economico, ha denotato almeno una sottovalutazione del problema e del quadro viario di riferimento”.
Le alluvioni si susseguono senza fine dal 1177: “Tralasciando le tante esondazioni considerate normali e contando soltanto quelle definite medie, grandi e straordinarie si arriva a cinquantaquattro eventi in poco più di otto secoli. Che fa una media di una ogni quindici anni”.
Ponte a Rignano
“La storia di Rignano – come ha ben sintetizzato Paolo Pirillo, docente di storia medievale all'Università di Bologna che è intervenuto alla presentazione – è indissolubilmente legata a quella del ponte. In questi casi ci si domanda se sia stato costruito prima il paese del ponte o viceversa. Nel caso di Rignano è giusto propendere per l’ipotesi che sia stato il ponte a dare vita al paese. Nel corso dei secoli poi i ruoli si sono invertiti ed è stato il figlio – il paese –a prendersi cura e a diventare più grande del padre. I problemi di costruzioni e di ubicazione si sono manifestati quasi subito come è possibile apprendere dallo studio di Roberto Lembo, ma con il trascorrere dei secoli è stato impossibile spostare il ponte – come avvenuto in molti altri luoghi – perché era ormai parte dell’identità della comunità”. Non è un caso che il borgo fosse conosciuto all’epoca come “Ponte a Rignano” e, solo successivamente, denominato “Rignano sull’Arno”.
La Madonna ed il Bambino a difesa del ponte
“In altri comuni italiani, ma anche in altre zone europee sono documentate leggende sui ponti del diavolo. Le leggende narrano infatti di patti col diavolo per tenere in piedi i ponti. Ma Rignano, a differenza di questi Comuni, si è affidata alla Madonna e al Bambino come è possibile ancora oggi notare dal tabernacolo posto sul ponte (foto google Maps). Sono loro gli intermediari con il Padre: il ponte da sempre ha rivestito un carattere simbolico di collegamento con l’aldilà” spiega il professor Pirillo.
Anche i migliori si sono dovuti arrendere
E’ una storia di lavori continui, ristrutturazioni, ricostruzioni e di feroci polemiche anche politiche quella del ponte che unisce Rignano a San Clemente. Una struttura storicamente "snobbata" da Reggello e che enormi grattacapi ha creato nel corso dei secoli a ingegneri, architetti e tecnici anche affermati. Il più celebre sicuramente è Bernardo Buontalenti chiamato dal Granduca Cosimo I affinché “sanasse il ponte una volta per tutte”. Ma anche quello del celebre architetto fiorentino non fu un intervento risolutivo.
La vendetta del Ponte
Nel corso dei lavori del 1862 invece si verificò una delle più grandi tragedie per il paese: “Con il cantiere già montato – racconta Lembo – crollarono le due volte dell’arco destro, trascinando nel fiume fra le macerie gli otto operai che stavano lavorando su un’impacatura pensile retta da canapi”. Quattro furono i morti, tre i feriti e solo un operaio rimase illeso. Mente i cittadini – la credenza è tramandata fino al ‘900 – parlarono di una vendetta del ponte a seguito dell’eliminazione della sua parola dal nome del Comune.
Gli anni 2000 e Matteo Renzi
Anche con l’avvento del nuovo millennio non sono stati risolti i problemi secolari del ponte mediceo. All’inizio del 2000 partono i grandi lavori per il rifacimento della struttura, con la contestuale realizzazione di una passerella (poi smantellata). Sembra la volta buona, ma alle 5 di martedì 24 giugno del 2008, un cittadino che abita vicino al ponte, nota che le mattonelle della sua terrazza – adagiata sul ponte stesso – sono saltate: 2 delle 4 barre di acciaio che svolgono la funzione di tiranti sono fuori uso. Il ponte viene chiuso e poi riaperto solo successivamente a senso unico alternato. E sono questi gli anni in cui è presidente della Provincia, l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi che più volte sottolinea “gli errori progettuali", sebbene avvenuti nel corso dell'amministrazione precedente alla sua.
Il presente ed un cattivo presagio
Da ormai sette anni sia Rignano che San Clemente attendono la messa in sicurezza del ponte. Il traffico attualmente scorre a senso unico alternato, mentre gli annunci della vecchia Provincia di Firenze non hanno trovato riscontro. “Ormai lo abbiamo soprannominato il Ponte dei Sospiri e forse è bene non far sapere tanto in giro la realtà che è emersa da questa cronistoria: e cioè che il ponte sia in realtà maledetto” ha ironizzato nel corso della presentazione il sindaco Daniele Lorenzini che ha spiegato di aver parlato con il consigliere delegato della città metropolitana Massimiliano Pescini: “Dopo i problemi che si sono registrati con la prima ditta affidataria dei lavori e che non ha mai aperto i cantieri, la Città Metropolitana ha assicurato che l’opera è stata affidata alla seconda impresa che aveva partecipato al bando di gara, ma che deve effettuare adesso corsi per poter operare sul ponte”. Sempre il primo cittadino ha anche illustrato gli interventi previsti per la ciclopista dell’Arno e per il camminamento verso gli impianti sportivi.
“Sono passati sette anni e le cicliche promesse di un imminente restauro sono rimaste tali ma, più di tutto, colpisce l’ennesima inquietante “bizzarria” rappresentata da quell’arco destro, che tante volte è stato incurvato verso l’alto fino a farlo saltare, e che questa volta lo è verso il basso, in un modo non propriamente rassicurante” conclude nel suo studio Roberto Lembo. La storia di quel ponte maledetto e del suo paese continua.