Gianluca Fantoni è professore associato in storia e cultura italiana in Gran Bretagna, in un paese dove c’è più attenzione per la ricerca e per la possibilità di studio, anche se l’ambiente è competitivo. Il suo racconto di valdarnese all’estero e i timori per la Brexit
Un ruolo di professore associato in storia e cultura italiana all’università di Nottingham. Gianluca Fantoni racconta a ValdarnoPost la sua esperienza di dottorato e lavoro in Gran Bretagna: “Mi occupo non solo di insegnamento ma anche di ricerca, con pubblicazione di articoli e la partecipazione a conferenze”. L’ultima la settimana scorsa a Denver, negli Stati Uniti, per il 131° Annual Meeting della American Historical Association. “E l'università ha pagato per questo, confermando l'attenzione che c'è per la ricerca”.
Nottingham conta 300.000 abitanti e ha due università: “Un posto molto internazionale e tecnologico, con numerosi colleghi e studenti stranieri da ogni parte del mondo. Hanno investito sugli studi, anche se si tratta di un percorso molto competitivo. In Gran Bretagna ci sono molte possibilità di studio, solo qui a Nottingham sono disponibili 50 borse di studio, soprattutto in biotecnologie, fisica e ingegneria. Il mio lavoro è intenso e l’ambiente competitivo: ci sono un minimo di articoli da pubblicare e di un certo livello. Non nascondo che mi piacerebbe un giorno avere più tempo per tornare a girare documentari”.
Lì ha trovato quella possibilità di studio che in Italia, invece, (ancora) non c'è. Prima di arrivare a Nottingham, Gianluca è partito dall’Italia con una laurea in Storia, gli anni alla Ssis che gli hanno permesso di insegnare precariamente cinque anni in zona e soprattutto una passione come video maker. Poi alcuni mesi a New York, Londra e, seguendo la compagna, Glasgow nel 2006. “Ancora pensavo ai video, poi lì ho ricominciato a studiare prima con un master, che mi ha permesso di realizzare un video lavoro su partito comunista e case del popolo a San Giovanni, e a seguire un dottorato con il professor Philip Cook, molto nello e interessante. Finito quello, c’è stato un periodo di lavoro precario anche lì fino a tre anni fa, quando è arrivata l’opportunità a Nottingham. A tempo indeterminato".
Nottingham e, sullo sfondo, l'università
“Dopo anni di precariato, ora l’idea di fermarsi in un posto mette quasi paura e non escludo di poter ripartire. Se ci fosse possibilità in un’università italiana allora tornerei: ma al momento mi sembra un’idea ancora irrealizzabile”, commenta Gianluca, raccontando che il numero di italiani anche a Nottingham è in aumento, arrivando addirittura quasi a 2000. “Prima erano in particolare laureati in cerca di lavoro, adesso arrivano anche operai, artigiani, elettricisti, parrucchieri. Si sta creando una comunità di lavoratori non accademici e non è un buon segnale, perché significa che l’Italia non dà molte opportunità”.
Non è facile partire, ma neanche adattarsi a una nuova comunità e un nuovo paese. “La precarietà e girare molto hanno un prezzo: lasciare forti legami in Italia, poi anche dopo sette anni a Glasgow abbiamo dovuto tagliare altri rapporti ormai solidi e ricostruire tutto da capo. E non è facile per i caratteri dei britannici: le nuove amicizie, per il 90%, sono con persone di altre nazionalità, perché noi siamo più espansivi, mentre loro sono più chiusi, formali, mantengono le distanze. A volte è difficile, anche se sembrano piccole cose. Anche imparare una nuova lingua non è semplice, io l'ho studiato molto da solo, ma l’accento italiano rimane anche se è cool”.
E l’Italia come viene vista? “La considerazione del nostro Paese è maggiore negli stranieri che per noi italiani paradossalmente, poi io lavoravo con il professor Cook che è esperto di Italia e innamorato di Firenze. In generale è il luogo della cultura, del saper vivere, della moda, del fascino e della dolce vita. Gli italiani comunque sono ben considerati e molto preparati: quanto a cultura generale, qui la preparazione è minore rispetto al nostro grado d'istruzione della scuola Primaria e Secondaria”.
La novità di questo ultimo periodo è stata la Brexit. “Psicologicamente un po' una botta, perché adesso sai che c'è una parte della popolazione, non maggioritaria ma consistente, che non vuole gli immigrati e che considera gli Europei immigrati a tutti gli effetti. Non sappiamo ancora quali saranno gli effetti pratici, potrebbero andare da molto lievi a molto pesanti, tutto è incerto e anche questo non è bello” – commenta Gianluca – “Ma a parte questo, la cosa peggiore è stata la consapevolezza che come accademici abbiamo una scarsa influenza sulla società e sull'opinione pubblica. Infatti si può dire che una percentuale molto vicina al 100% degli accademici, e sicuramente tutti i miei colleghi britannici, hanno votato per rimanere in Europa e vedevano questo referendum quasi con imbarazzo, però… il che dimostra che non avevamo il polso della situazione. D'altronde non ce l'aveva manco Cameron, e ci ha rimesso la carriera politica”.
“Insomma, le cose stanno cambiando e il mio consiglio ai giovani ricercatori ora sarebbe: per il momento meglio cercare altre destinazioni, almeno finché la cosa non si chiarisce. A chi ancora sta studiando o comincia ora l'università direi: tempo di studiare il tedesco o l'olandese, l'inglese va sempre saputo, ma concentratevi anche e sopratutto sulle lingue ancora comunitarie”.