25, Aprile, 2024

Il processo di pacificazione e le sue deviazioni. Vittorio Emanuele Parsi e Francesca Mannocchi in conversazione al Moby Dick Festival

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Si è svolto ieri pomeriggio al Moby Dick festival, presso l’Auditorim le Fornaci, l’incontro tra Vittorio Emanuele Parsi, politologo e Francesca Mannocchi giornalista e scrittrice, sul processo di pacificazione e le sue deviazioni. In particolare modo si è parlato di comunicazione, responsabilità e differenza tra racconto e dato reale.

Ad iniziare il dialogo è Vittorio Emanuele Parsi che mette in luce il lavoro sul campo di Francesca Mannocchi, in modo particolare la sua capacità di mostrare un certo impegno nel fare in modo che alla documentazione venga già legata un’interpretazione. Ultimamente Mannocchi è stata presa come bersaglio dall’opinione pubblica per le sue prese di posizione sull’argomento guerra Russia – Ucraina e Parsi le chiede come si sia sentita a riguardo. Mannocchi risponde:”Mi sono posta molte domande. Ho dubbi che mi hanno animato dall’inizio dell’invasione su larga scala della Russia in Ucraina, dunque mi sono domandata dall’inizio di questa situazione, se le categorie con cui avevamo fino ad allora concepito alcuni grandi temi come il pacifismo, la diplomazia, alcune grandi parole, come la negoziazione, la miopia con cui avevamo gestito e continuiamo a gestire per certi versi i rapporti con sempre più aggressive autocrazie, non fossero destinate a cambiare per sempre. “

Continua Mannocchi: ”I fatti dicevano che erano già cambiate per sempre e tuttavia la stragrande maggioranza dei colleghi e degli intellettuali non sufficientemente pronti a cambiare idea, stessero applicando delle categorie novecentesche ad un mondo che è un mondo nuovo e che lo era già prima che iniziasse questa invasione. Un mondo che inoltre non è destinato a tornare come era prima. La miopia si è espressa in varie forme. Nella distorsione e nell’utilizzo alterato di alcuni temi che dovrebbero essere protetti: io ho grandissimo rispetto del movimento pacifista, ne ho un po’ meno quando il movimento pacifista presta il fianco a delle strumentalizzazioni e non si rende conto che diventa alibi di una alterazione dei fatti. Piano piano poi nel tempo, questo utilizzo di categorie che non funzionano più si è associato alla diffusione di notizie che sono false. È questo che ha provocato con un’unicità nel nostro Paese che non ha pari, la confusione tra opinione e cronaca. Opinione e dato di realtà.

L’esempio più calzante, Mannocchi lo riporta proprio parlando della guerra:”Abbiamo vissuto mesi in cui intellettuali in televisione dicevano che i morti di Bucha non c’erano e che i cadaveri ce li avevano messi gli ucraini, mentre noi testimoni cronisti camminavamo sopra i morti e tornavamo nella nostra casa sotto le bombe, accendevamo la televisione e vedevamo dei dibattiti lunari. Ho camminato sui morti… su quale base tu dici che i morti non ci sono? Questa cosa qui non ha eguali in nessun altro grande fatto.Questo ha provocato la drammatica conseguenza che molte persone, molti cronisti, molti testimoni – abbiamo una responsabilità grande che non è l’ego di chi va a vedere la morte in faccia ma è portare la prova di qualcosa che è stato visto e non può essere negato. Molti di noi si sono chiamati fuori, io a lungo mi sono chiamata fuori perchè per me non era sostenibile una discussione con qualcuno che nega dati di realtà”.

Arriva il momento di parlare di processo di pacificazione. È la scrittrice a chiedere a Parsi-  L’unica posizione presa è quella dell’Ucraina che dice di dover partire dal rispetto dei confini territoriali del ‘91 – a che punto siamo? Vittorio Emanuele Parsi:” Siamo messi male rispetto a un termine temporale. Credo che ci sia un altro equivoco quando si parla di pace. Pace e guerra non sono status; sono frutto di comportamenti- dunque affinchè la pace possa iniziare il suo percorso deve cessare un comportamento che ha rotto la pace. La guerra è il frutto della volontà di un decisore che a un certo punto sceglie che userà la forza fisica per rompere la pace; per piegare la volontà di colui che ha eletto come nemico. Nel momento in cui qualcuno fa la guerra a qualcun altro vuol dire che impone la guerra a qualcun altro e lo trascina via dallo stato di pace in cui era. Affinchè lo stato di pace possa essere ripristinato deve cessare quel comportamento e l’unico modo per cessare quel comportamento è che colui il quale lo subisce agisca o con la resa incondizionata, e quindi chi commette violenza smette perchè ha raggiunto l’obiettivo, o con la guerra di resistenza che combatte la guerra di aggressione e quindi avvicina il momento in cui si possono ricostruire le condizioni della pace. Senza questo ragionamento facciamo una contrapposizione guerra che è falsa e che dà un falso bersaglio.”

Continua Parsi:” Quello che a me colpisce è che ci sono alcuni sintomi e segnali che secondo me sono positivi: che non vengono posti nella logica di un percorso ma vengono tirati fuori di punto in bianco. L’evento come pop up. Sappiamo che c’è azione di gruppi di resistenza russi dentro i confini russi che evidentemente usano l’Ucraina come un santuario. Quel segnale è una cosa importante che ci dice che c’è da un lato una resistenza che inizia a manifestarsi, che il livello di repressione russo evidentemente suscita forme di reazione e di opposizione a Putin. In questi termini tutti sono d’accordo: che Putin rappresenti una complicazione del percorso di pace e non un’agevolazione: è lui che ha scelto la guerra. La rimozione di Putin è semplicemente una cosa che avvicinerebbe al processo di pace e se i russi iniziano ad essere le anime morte che si son dimostrate obbedendo a qualunque ordine – beh forse quello è un buon inizio.Comporta dei rischi? In guerra tutto comporta dei rischi.”

Parsi punta il dito sull’informazione e interpella Mannocchi sulla questione della testimonianza confronto con dato reale. Francesca Mannocchi: ”Il nostro giornalismo ha bisogno di storie: questo sempre – il problema è cosa ci fai con le storie. Prendiamo un esempio ‘La storia della madre che vede tornare il figlio nella cassa di zinco’ . Tu prendi questa storia, ti emozioni e una settimana dopo hai dimenticato se quella bara veniva da un posto o da un altro: la notizia si riduce alla madre che accoglie la cassa di zinco. Se quella madre e quella storia non è portatrice di un contesto, non serve a niente. Quante volte si sente parlare e idealizzare le nonne ucraine? A cosa ci serve la nonna ucraina sopravvissuta? Ci può servire per due cose: per l’80% dei casi serve a pensare al dispiacere e al dolore della nonna.Questa è l’emozione standard che l’opinione pubblica italiana prova di fronte a una storia standard.”

Conclude Mannocchi: ”Se quella storia la vedi contestualizzata capisci che quella donna lì sta vivendo a 80 anni l’invasione russa in Ucraina; che ha vissuto l’indipendenza dell’Ucraina nel ‘91 e tutto il trauma post sovietico –  ma che soprattutto ha vissuto l’unione sovietica. Quindi quando la avvicini, lei non deve essere la storia della povera donna senza casa, ma un hard disk pieno di informazioni. Se noi non valutiamo che una storia è anche la lettura sociologica, geopolitica, economica, di emancipazione di un popolo, non capiamo niente. Questo secondo me è quello che manca nel racconto e nella costruzione di quella che è la pubblica opinione che deve essere informata  La stragrande maggioranza dei giornalisti non studia.”

Conclude infine Parsi, con una riflessione sul dibattito e la sua importanza. “Il dibattito spesso, se ci pensiamo, è un dibattito in cui si attacca l’emittente e non si replica sulla tesi e questo produce un gioco gladiatorio in cui alla fine chi perde non è tanto la persona in malafede. Il dibattito serve per consentire di fare emergere una varietà di posizioni in maniera che chi assiste al dibattito possa, attraverso delle buone spiegazioni, prima incuriosirsi e poi approfondire.”

 

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