Trentaquattro disegni, scelti fra le opere che l’artista realizzò nell’ultima parte della sua vita: è la mostra monografica “Lo splendore della luce e dei colori: sguardo e memoria”, che a Palazzo Pretorio racconterà, dal 2 aprile, Americo Mazzotta, pittore e scultore dalla fama internazionale, che scelse di vivere a Figline per trent’anni. Una dedica, insomma, da parte della città che lo accolse: una mostra voluta fortemente dalla figlia Elisa, organizzata dal Centro culturale di Arezzo e da Comune di Figline e Incisa Valdarno e curata dal poeta Davide Rondoni.
Era il 1991 quando Americo Mazzotta, ormai al culmine della sua maturità da pittore e scultore, si trasferì a Figline, insieme alla figlia Elisa. Qui restò fino al 2020, quando, con l’aggravarsi delle condizioni di salute venne ricoverato nell’hospice di San Felice a Ema, alle porte di Firenze, e dove venne a mancare l’11 novembre dello stesso anno. In quegli ultimi mesi della sua vita, riprese anche a disegnare, realizzando ben 177 disegni. Una selezione di 34 di quei lavori sarà dunque esposta nella mostra figlinese, che sarà ospitata al Palazzo Pretorio di Figline dal 2 aprile al 1° maggio, visitabile gratuitamente ogni martedì, ad ingresso libero, dalle 9.30 alle 19, il sabato, la domenica e i festivi su prenotazione, inviando un messaggio Whatsapp al numero 340.6258576 oppure scrivendo a rotti.silvia@gmail.com, indicando il giorno preferito, nome e cognome di un referente e il numero di visitatori.
Nato a Collecchio, in provincia di Parma, nel 1941, Americo Mazzotta studiò Architettura a Firenze dedicandosi però fin da giovanissimo alla pittura. La sua prima mostra, alla “Piccola galleria” del Palazzo comunale di Pesaro, è del 1962. Negli anni seguenti le sue opere furono al centro di numerose esposizioni e personali in tutta Italia. Nell’ ’81 dipinse l’“Odissea”, una grande opera in 14 disegni a sanguigna che, seguendo le tracce di Ulisse, descrive la metafora della sua vita. Nel 1982, invece, dipinge in 120 giorni “La battaglia di Lepanto”, pittura murale in monocromo a sanguigna realizzato nella chiesa della Madonna del Rosario di Redecesio, nei pressi di Milano. Dall’ ’89, per circa 20 anni, progettò e realizzò vetrate, veri e propri quadri su vetro, per oltre 35 chiese palermitane, insieme all’architetto vetratista Calogero Zuppardo, con tecniche all’avanguardia.
La sua opera più celebre è, però, la decorazione monumentale della Chiesa di San Giuseppe Lavoratore di Oświęcim-Auschwitz, nei pressi del campo di sterminio nazista. Qui Mazzotta realizzò, tra il 1994 e il 1997, la sua opera più imponente: una pittura murale in sanguigna nell’abside della chiesa, estesa 200 metri quadri, oltre a quattro episodi della storia della Polonia, alle vetrate absidali dedicate a “San Giuseppe e l’Europa” e al “Golgota”, e alle 14 vetrate della “Via Crucis”, un ciclo nel quale Mazzotta unisce la Passione di Cristo a quella del popolo dei deportati. Continuò a lavorare su commissione e ad esporre fino al 2014, realizzando cicli pittorici affrescati, vetrate, sculture e bassorilievi per edifici pubblici e chiese in tutto il mondo. Collaborò con importanti progettisti e architetti e intrattenne profonde amicizie con artisti di assoluto spessore. Gli furono, inoltre, commissionate opere a Grosseto, Roma e sul territorio fiorentino.
“È un grande piacere per la nostra città – ha commentato l’assessore alla Cultura, Dario Picchioni – presentare la mostra che raccoglie una selezione degli ultimi disegni realizzati di Americo Mazzotta, che fu a lungo nostro concittadino così come lo sono i suoi discendenti: è nel nostro centro storico, infatti, che si trasferì nel 1991, visse l’ultima parte della sua vita e conobbe Andrea Antelli, che divenne suo amico e punto di riferimento. Per il nostro Comune, si tratta di un’importante occasione per far conoscere il suo lavoro, oltre che per indagare e riscoprire il suo legame con la nostra città”.
“L’idea di una mostra è nata proprio da mio padre – spiega la figlia dell’artista, Elisa Mazzotta – mentre i disegni venivano eseguiti presso l’Hospice di San Felice a Ema dove riprese, con intensità e con suo stesso stupore, a lavorare dopo due anni di stop causato dalla malattia, grazie agli amici che nell’andare a trovarlo gli portarono libri, pennelli, colori e fogli. Fu proprio parlando con un’amica, che stava registrando un video di presentazione dei suoi disegni, che parlò per la prima volta di una loro esposizione. Ed è proprio grazie agli amici di mio padre che ho voluto far conoscere quest’uomo, non solo come pittore, ma come uomo che ha vissuto la sua malattia e la sofferenza prima con la negazione e la paura di essa, poi con la riconciliazione e la speranza. Una luce che esprime anche attraverso alcune delle sue opere. Non ce n’è una in particolare che lo rappresenti, ognuna di queste opere è parte di sé; però ho scelto il cavallo come opera simbolo, credo che racconti meglio di ogni altra chi era mio padre”.
“Nelle opere di Mazzotta, e in particolare in questi ultimi disegni – commenta il curatore, il poeta Davide Rondoni – colpisce una specie di libertà, di riepilogo sollevato, quasi, dal tempo. Un riepilogo di visioni, di ospiti, di momenti, di luoghi rivisti o, meglio, rivisitati con una mano quasi liberata, come se si fosse allentata un’ansia, quella michelangiolesca, quella giottesca, di dare corpo, di afferrare il corpo segreto del mondo. Quella innata, salutare ansia dell’artista, che forse lascia il passo ad una più libera contemplazione, a qualcosa che abbandona veli dello sguardo, attraversato da una crescente stupefazione. Americo Mazzotta è un cristiano artista, cioè un uomo che ha avuto la vita e le energie investite da una forza ‘artistica’ non sua, dell’artista supremo dell’universo che trasforma la morte in resurrezione, e dunque ogni forma in segno di quel gesto”.