Dagli archivi del museo Mine di Castelnuovo dei Sabbioni la testimonianza di Dino Romagnoli. Le iniziative del Giorno della Memoria organizzate per sabato 26 gennaio
In occasione delle celebrazioni per il Giorno della Memoria, per ricordare e riflettere insieme sugli orrori della Shoah, Amministrazione comunale e Museo Mine hanno estratto dagli archivi del museo dell'antico borgo di Castelnuovo la testimonianza di Dino Romagnoli. Originario del Comune di Cavriglia Dino fu imprigionato in un campo di concentramento della Germania dal 1943 al 1945. La sua storia è stata ricostruita attraverso le lettere scritte alla famiglia nel periodo della prigionia
Dino era nella marina durante la Seconda Guerra Mondiale. Qualche anno fa i familiari donarono al Museo Mine la sua lampada ad acetilene, delle vecchie fotografie e una registrazione dove raccontava il periodo della prigionia nei campi di concentramento tedeschi.
“Il mio campo di concentramento – qui inizia il racconto – era vicino ad una montagna, in un bosco. Ci s'era noi, i francesi, gli ebrei. Il campo si trovava in Germania. Mi ricordo che quando si andava a prendere la legna nel bosco per la cucina, c'erano delle fosse; quelle le avevano fatte per gli ebrei. All'esterno il campo era tutto recintato; all'interno c'erano le baracche di legno con i letti a castello dove si dormiva. Molti di noi però erano distesi in terra con le coperte. Nelle baracche s'era in tanti: in alcune ci si poteva stare in 200, 300 persone, in altre solo 50, dipendeva dalla dimensione. Quando ero nel campo di concentramento nella mia baracca s'era 100-150, con letti a castello, materassi fatti col granturco e cimici, da fare schifo! In questo campo ci sono stato un mese e mezzo".
"La giornata di un prigioniero nel campo era tremenda: prima di tutto se facevi qualcosa che non gli quadrava ti bastonavano; mangiare non lo davano; ti davano un po' di farina di granturco cotta dentro l'acqua, senza sale e senza niente. Quello era il mangiare! Non c'era via di uscita fino a quando non ci hanno mandato ai campi di lavoro. Si lavorava in una miniera, nella Renania, vicino a Francoforte. Eravamo 29 italiani, dalla Sicilia a Trento, a Padova e 4 toscani. Nel campo s'era un migliaio di persone. Era un campo davvero grande".
"Potevo scrivere liberamente alla mia famiglia ma solo in un certo modo. Potevo mandare le cartoline che mi venivano date nel campo. Quando arrivavano delle lettere, e ci poteva volere anche un anno, arrivavano censurate. Ho provato qualche volta anche a scappare, ma senza successo. Una volta mi fecero la spia. Ero scappato dal reticolato e quando rientrai trovai alla baracca la guardia tedesca. Mi portarono davanti ad un ingegnere, ma siccome io ero un lavoratore che sapevo fare, sapevo lavorare in miniera… allora l'ingegnere mi disse solo di non farlo più. Io e gli altri che erano con me nel campo si lavorava in miniera e si facevano due turni: la mattina dalle 6 alle 14 e poi dalle 14 alle 22. Quando si lasciavano i panni del lavoro in miniera ad asciugare, capitava la mattina di trovare nelle tasche un po' di cibo, qualche caramella, A volte capitava anche che anziani tedeschi che lavoravano con noi riuscissero a passarci dei termos con della minestra all'inizio della discenderia, quando i sorveglianti non ci guardavano scendere".
"Le ore che non lavoravi in miniera erano di riposo. Io sono andato a lavorare anche presso una famiglia di contadini, potevo mangiare così a casa di questa famiglia. Non ho visto morire i miei compagni, ma li ho visti feriti. Purtroppo ho visto anche le camere a gas. Ci hanno chiamato a fare la disinfezione. Mi ricordo di una ragazza che era nel campo… S'era nei mesi invernali, gennaio, forse, e lei aveva addosso solo una “sottanina” e lavava fuori nel piazzale. Le ho regalato il cappotto della marina, il mio. Era russa. Mi ringraziò con un cenno. Quando finì la guerra arrivai a Firenze. Da lì sono salito su un camion e sono sceso al Ponte alle Forche. Lì ho incontrato due amici che portavano la lignite da Castelnuovo al Ponte alle Forche. Con loro sono arrivato fino alla casa degli zii…”
Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche dell'Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz aprendo gli occhi del mondo intero di fronte all'atroce sterminio della razza ebrea perpetrato dallo Stato Nazista. Una data storica, seppur nella propria crudeltà, che viene commemorata attraverso il “Giorno della Memoria”, ricorrenza internazionale istituita dalle Nazioni Unite nel 2005.
Sabato 26 gennaio a Cavriglia si rinnoverà l'appuntamento con la "Passeggiata della Memoria", evento promosso dall'Amministrazione comunale in sinergia col Museo Mine e l'Associazione Culturale “Meleto vuole ricordare”. La camminata prenderà in via dall'antico borgo di Castelnuovo dei Sabbioni con ritrovo fissato per le 9.00. Il percorso si chiuderà a Meleto Valdarno dopo aver "toccato" alcuni dei luoghi dove vennero perpetrati gli eccidi nazifascisti che colpirono la comunità cavrigliese nel luglio del 1944. L'evento coinvolgerà le classi della scuola secondaria dell'Istituto Comprensivo “Dante Alighieri” per sensibilizzare i giovani sul significato degli eventi che il passato ci ha lasciato in eredità. La passeggiata sarà animata da letture e musiche.