Fiom, Fim e Ugl apprezzano la posizione del Governo espressa dal Ministro Di Maio, ma esprimono rabbia per l’atteggiamento dell’azienda, che non ha dato seguito agli spiragli di apertura manifestati in Confindustria
C'è rabbia nei commenti dei sindacati dopo il tavolo al Ministero dello Sviluppo economico, al quale i vertici della Bekaert, arrivati dal Belgio, hanno detto 'no' a qualsiasi possibilià di sospendere o revocare la procedura di chiusura e licenziamento. L'azienda non ha dato seguito a quelle seppur minime aperture che aveva manifestato ieri al confronto in Confindustria.
"L'azienda torna indietro e si dice chiusa ad una sospensione delle procedure di licenziamento perché potrebbe richiedere troppo tempo e troppe perdite economiche", commenta la Fiom Cgil con Daniele Calosi. "Parliamo di 318 lavoratori diretti e circa cento dell'indotto, che perdono il proprio posto di lavoro. Sono oltre 400 famiglie, non numeri. Le organizzazioni sindacali, le istituzioni locali e Regionali e il Ministro Luigi Di Maio, sono unite e determinate ad allungare i tempi delle procedure per avere il tempo necessario per una soluzione alternativa".
"Dopo aver sfruttato per quattro anni le competenze dei metalmeccanici toscani, l’azienda decide che è meglio produrre dove il costo del lavoro è più basso, in Slovacchia e Romania. Ennesimo caso di un'azienda metalmeccanica che viene delocalizzata a Est a spese di produzioni e lavoratori italiani, che prima vengono sfruttati nelle loro conoscenze e poi scaricati. Due anni fa questa azienda aveva comprato alla Pirelli e la Pirelli aveva garantito al governo italiano che aveva venduto a una multinazionale intenta a mantenere la produzione in Italia. Il 29 marzo in un verbale ministeriale l'azienda riporta che non c'erano segnali che facessero presagire la chiusura dello stabilimento. Dopo 86 giorni da quella data, l'azienda comunica ai lavoratori la chiusura con 318 procedure di licenziamento. Dovete consentirci un clima sociale più tranquillo per poter fare la trattativa e l'unico modo per guadagnare il tempo necessario è il ritiro della procedura di licenziamento. Fermate l'orologio, perché lo stabilimento è produttivo, i lavoratori stanno continuando a produrre il filo", è l'appello di Daniele Calosi. "Se un'azienda non ha responsabilità sociale e non tratta i propri lavoratori con pari dignità, che tipo di affidabilità e credibilità può avere?".
"In trent’anni di attività sindacale non ho mai visto un atteggiamento così arrogante da parte di un’azienda, alla presenza dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali, degli enti locali e dello stesso Stato italiano, rappresentato a quel tavolo dal ministro". Così il segretario generale della Cisl Toscana, Riccardo Cerza, al termine dell'incontro oggi pomeriggio al Mise sulla vicenda Bekaert. "L’azienda – ha detto Cerza – non è disponibile a sospendere la procedura, ha detto che per loro si può trattare, ma entro 75 giorni, ben sapendo che 14 se ne sono già andati. Non ha voluto prendere in considerazione alternative, pur con la disponibilità del ministro di mettere a disposizione tutti gli ammortizzatori possibili e con la nostra disponibilità di cercare una soluzione con l’azienda. La posizione del governo – secondo Cerza – è stata esemplare. Ha detto chiaramente che in Italia c’è un’etica del lavoro e che una multinazionale non può solo prendere. Ha ribadito che questo atteggiamento da parte loro non viene certo preso bene dallo Stato, che lo porterà a conoscenza degli altri partner europei e che questa cosa non si fermerà in Italia".
Sulla stessa linea Paolo Capone, leader Ugl. "Sono per lo più operai di mezza età che se licenziati, avranno grosse difficoltà per trovare un altro impiego. Oltre il danno anche la beffa: grazie al Jobs Act se un’impresa cessa la sua attività, i dipendenti non hanno diritto alla cassa integrazione. Molti di loro sono anche prossimi alla pensione. Si tratta di 318 famiglie che rischiano di finire sulla strada, soprattutto perché l’azienda dimostra di non avere alcun vincolo di responsabilità sociale nei confronti dei suoi dipendenti. Bisogna, quindi, scoraggiare le multinazionali a delocalizzare la propria produzione all’estero per fini economici, affinché siano tutelati i diritti dei dipendenti. Speriamo che il Governo proceda in tal senso per salvare, in qualche modo, la forza lavoro".