Verrà inaugurata sabato 13 maggio alle 17.30 presso l’Auditorium del museo Mine, la mostra “Nel nome del Padre”: si tratta di una selezione di opere scultoree curata dal figlio di Giuliano Azzoni, Marco Azzoni che ha individuato per l’esposizione, alcune tra le ultime opere del padre e del suo periodo religioso.
La mostra sarà aperta fino al 9 luglio e sarà visitabile dal martedì al venerdì dalle 10 alle 13 e il sabato e la domenica con orario: 10-13 e 15-18. L’ingresso è libero. Verrà presentata dal Professore Carlo Pasquini e dalla Direttrice del Museo Paola Bertoncini, dopo i saluti istituzionali del Sindaco di Cavriglia Leonardo Degl’Innocenti o Sanni.
Marco Azzoni, curatore della mostra:” Questa è una mostra antologica sulle ultime cose che ha fatto mio padre prima della morte; quindi è una selezione a sfondo religioso – dato che nell’ultima fase della sua vita ha ritrovato un grande momento di fede che ha trasportato nella materia. Qui ho riportato una selezione delle opere più belle e anche più importanti anche in termini di dimensioni. Questa per me è l’opportunità di dare una rappresentazione anche in occasione della ricorrenza della morte di mio padre”.
Paola Bertoncini Paola Bertoncini Direttrice del Museo Mine:” La mostra che inauguriamo sabato dedicata a Giuliano Azzoni, è una delle tante mostre che nel 2023 sta ospitando il Mine. La politica del museo nelle mostre è quella di lasciare spazio anche alla possibilità di raccontare le storie del territorio e non solo: la mostra di Azzoni è uno di questi esempi. La politica delle mostre rientra in una politica più ampia, promossa dall’Amministrazione comunale che vede appunto nel museo e non solo, un forte investimento per la valorizzazione e la salvaguardia di quello che è il nostro patrimonio culturale insieme alla storia del nostro territorio.”
Bertoncini continua:”Visitare la mostra sarà come compiere un viaggio “per periferie senza nome, strade che nessun architetto ha mai progettato”: pietra, legno, metallo, sono queste le materie predilette da Azzoni, le opere del quale parlano di intrecci, rapporti, ci raccontano storie di interpretazioni e pongono alla nostra attenzione tante, troppe, domande come del resto fanno tutti quegli oggetti che entrano a vario titolo in un museo. In questi lavori non leggiamo solo ciò che eravamo, ma ciò che siamo e che potremmo essere, forza poetica propria dell’arte che a noi si manifesta. Sono opere “scomode”, così come lo è quel patrimonio culturale che è parte fondante di ciò che siamo, ma nel quale decidiamo talvolta di non riconoscerci, lavori nei quali la materia è parte integrante della relazione che si instaura tra opera-artista-osservatore. In tal modo si susseguono sculture femminili e l’uomo crocifisso, ripercorrendo in questa restituzione visiva l’archetipo e lo schema simbolico della rappresentazione visiva di una manifestazione religiosa.”