Il Dott. Francesco Motolese specialista in neurologia esercita la sua professione presso il Policlinico Campus Bio-Medico di Roma dove si è laureato con una tesi sullo studio dei circuiti cerebrali. Inoltre, svolge attività ambulatoriale al centro medico LN Medical Service di Castelnuovo dei Sabbioni. Nel suo percorso di studi, il Dott. Motolese ha trascorso periodi all’estero dapprima all’istituto di Neurologia dell’University College di Londra (UCL) e poi presso l’Hertie Institute for Clinical Brain Research a Tübingen, in Germania. Nella sua pratica clinica si occupa di neurologia generale, tuttavia è specializzato in disturbi cognitivi e demenza, in particolare nella cura e nella ricerca riguardo la malattia di Alzheimer.
Dottore, come e quando si manifesta la demenza?
“In genere la demenza compare prevalentemente con l’avanzare dell’età, la fascia più a rischio di sviluppare disturbi cognitivi è infatti quella dai 65 anni in su. Esistono tuttavia anche casi, fortunatamente molto rari, in cui questo tipo di patologia neurologica si manifesta in soggetti giovani. La demenza, nelle sue molteplici e complesse sfaccettature, può presentarsi da principio con lievi disturbi cognitivi, come dimenticarsi dove è posizionato un oggetto o perdere il filo del discorso. Ovviamente, piccole défaillance sono normali nella vita di tutti i giorni, tuttavia diventano preoccupanti se si ripetono frequentemente nella quotidianità o hanno conseguenze spiacevoli da un punto di vista personale o lavorativo”.
Come interviene il neurologo?
“Per prima cosa è necessario appurare che il disturbo sia reale e non un eccesso di preoccupazione del paziente o della persona che lo ha accompagnato. Dopodiché, durante la prima visita, si ricostruisce la storia clinica del paziente informandosi sui medicinali assunti, sugli interventi subiti e se c’è una storia familiare relativa a disturbi cognitivi. Definiti questi aspetti, si prosegue con dei test neuropsicologici semplici allo scopo di fare screening e andare a identificare eventuali campanelli di allarme per poi passare all’eventuale prescrizione di esami diagnostici specifici, quali analisi del sangue e risonanza magnetica dell’encefalo“.
È possibile prevenire la demenza?
“Sempre più studi hanno rilevato che disturbi cerebrovascolari possono determinare l’insorgere o l’aggravarsi dei disturbi cognitivi. Pertanto, agire preventivamente sui fattori che alterano la circolazione cerebrale – come ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete – può risultare fondamentale per ridurre la possibilità di progressione del danno cognitivo. Di fronte ai primi campanelli di allarme di una demenza, è dunque buona norma indagare anche su possibili malattie metaboliche, controllare i fattori di rischio cardiovascolare e tracciare così un quadro accurato per intraprendere un’eventuale terapia farmacologica mirata. In generale l’approccio che si sta diffondendo è quello di cercare di correggere, attraverso una prevenzione di questo tipo, potenziali fattori che contribuiscono allo sviluppo di malattie neurologiche come la demenza”.
Come si cura l’Alzheimer?
“Al momento non esiste una cura definitiva per le demenze e neppure per la malattia d’Alzheimer che è la più diffusa. I farmaci che utilizziamo sono sintomatici e non sono curativi, nel senso che non agiscono risolvendo la causa della patologia, ma migliorano i sintomi. Di fatto questo tipo di terapia farmacologica supporta la memoria e le funzioni cognitive, riducendo le défaillance che il paziente vive nel quotidiano”.
Sta accadendo qualcosa a livello di ricerca farmacologica?
“Negli Stati Uniti esistono già e vengono prescritti farmaci di nuova generazione che speriamo possano presto arrivare anche in Europa. La loro caratteristica è quella di avere un’azione anti-amiloide, ovvero vanno a ridurre in modo significativo il carico di una proteina – l’amiloide – che si deposita nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer, rallentando la progressione del danno. La loro efficacia, tuttavia, è proporzionale alla precocità con cui viene fatta la diagnosi della malattia, pertanto prima la si intercetta, più probabilità ci sono che il paziente benefici della terapia farmacologica”.
Si può parlare di familiarità in malattie come quella di Alzheimer?
“La malattia di Alzheimer è raramente ereditaria. Esiste invece una certa predisposizione familiare, per cui avere consanguinei affetti da demenza aumenta il rischio di sviluppare disturbi cognitivi rispetto alla popolazione generale. Questo rischio però è fortemente influenzato dai nostri stili di vita e dalle condizioni generali di salute. Ecco perché la prevenzione è così importante! L’attenzione verso i disturbi neurologici, anche in assenza di sintomi, deve essere sempre alta quando a soffrirne sono persone della cerchia familiare, soprattutto passati i 65 anni“.
Quali sono le raccomandazioni per chi si prende cura dei pazienti con demenza?
“Le persone che sono attorno a chi soffre di demenza sono spesso dimenticate dal sistema – generalmente più concentrato sul paziente – benché subiscano a loro volta i risvolti peggiori della malattia. I caregiver, infatti, si trovano a dover gestire nel quotidiano, oltre alla graduale perdita di autonomia dell’assistito, anche eventuali “sintomi spiacevoli” quali agitazione, aggressività e irascibilità. Il ruolo di questa figura è fondamentale nell’assistenza del paziente per questo è importante supportarla ed educarla alla corretta gestione di tutti gli aspetti legati alla patologia. Il neurologo deve saper trasmettere le dovute raccomandazioni funzionali al trattamento della persona malata per evitare, per quanto possibile, episodi di burnout e sovraccarico.”.