19, Aprile, 2024

La notte in cui la paura ha diviso la città: il racconto di un valdarnese che vive a Parigi

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MarcoMora è uno scrittore montevarchino che vive a Parigi dal 2006. Pubblichiamo il suo racconto della tragica notte del 13 novembre e della giornata successiva agli attacchi terroristici che hanno insanguinato la capitale francese

MarcoMora è un montevarchino sulla trentina che dal 2006 abita a Parigi e da ancora prima, tra le altre cose, scrive dietro questo pseudonimo. All'indomani degli attacchi terroristici che il 13 novembre scorso hanno insanguinato la capitale francese, lo abbiamo contattato per chiedergli la testimonianza diretta di chi ha vissuto da vicino quelle ore drammatiche. Ecco il suo racconto.

Venerdì 13 non è stato per tutti quanti foriero di sventura: quel giorno la sorella della mia fidanzata ha firmato un contratto di lavoro nel quale sperava da mesi. La fatidica sera mi ha dunque colto con loro due ed un altro ragazzo nel salotto di casa, su energico sfondo musicale, colle bottiglie da stappare e la torta da spartire.

Per la cronaca, abitiamo in banlieue Nord, a un tiro di schioppo dallo Stade de France, in questa periferia malfamata la cui reputazione è in parte meritata ma sostanzialmente aggravata dal fatto d’essere un ghetto popolare ad elevata concentrazione di Francesi d’origini africane – pronipoti di una feroce colonizzazione imperialista, dispersi nipoti della machiavellica decolonizzazione che ne susseguì, figli indegni confinati extramuros dalla Parigi Per Bene (preferibilmente bianca, abbiente e politicamente corretta), i sub-borghesi di questi sobborghi sono senz’altro da biasimare, n’est-ce pas.

Da quando vivo in Gallia ho abitato perlopiù quartieri proletari arabo-srilankesi; questa realtà cerco di capirla e sinceramente la stimo atta ad accogliere l’immigrato che io sono.

Date le nostre attività serali bandenti la televisione ed ogni rumore esterno, probabilmente non ci saremmo accorti di nulla fino all’indomani se non fosse stato per le ripetute chiamate di parenti ed amici giustamente inquieti.

Riguardo agli accaduti, da parte mia non c’è stato quasi nessun stupore, giacché l’atmosfera che da anni si respira nella Ville Lumière anziché nella sua vastissima orbita d’asfalto è tesa, ansiogena, e lascia presagire disastrofiche incombenze. Dopo aver fumato una sigaretta sul pianerottolo sincerandomi che elicotteri e sirene varie imperversassero soprattutto nella zona dello stadio in questione, ho ripreso i festeggiamenti a domicilio coll’amarezza che due bicchieri di vino dolce possono facilmente diluire. Tre ore di mite baldoria più tardi ho lasciato il salotto – finalmente invaso dalle truci testimonianze audiovisive che da tre ore bussavano prepotentemente all’altro lato dello schermo dell’apparecchio che nel nostro salotto ha, di regola, una funzione puramente decorativ -, coricandomi da solo.

Sabato 14 sì, ho acceso la tele di buon’ora e ragguagliandomi sulla praticabilità delle strade ho infilato il giubbotto, i guanti e gli stivali per andare al lavoro – in pieno centro di Parigi, in moto piuttosto che via treno e metropolitana (la rete dei trasporti pubblici, come facilmente prevedibile, era sommariamente fuori uso). Ho ricevuto in quel mentre una telefonata del principale che mi sconsigliava di rendermi in negozio dato lo stato d’assedio vigente in città. Certificatami la momentanea disoccupazione, ho comunque inforcato la moto e nei dintorni svolto qualche commissione.

Ad un certo punto mi risquilla il telefono. È Ciro, un caro amico napoletano residente intramuros che invita chez lui amici francesi, italiani, eccetera, a mangiare la quantità industriale di gnocchi caserecci personalmente confezionati per l’occasione, così, non tanto per sdrammatizzare quanto per stare tranquillamente insieme e non lasciarsi prendere dalla psicosi. «Benone» penso parcheggiando il mezzo in garage «Jihad 1 – Cucina Italiana 1. Palla al centro».

Rincasato, trovo la mia fidanzata, sua sorella e l’altro ragazzo che aveva dormito da noi tutti e tre davanti all’ennesimo notiziario – che, allarmismi a parte, non aggiunge nulla a quanto trasmesso sinora. «Ridi ridi che Ciro ha fatt’i gnocchi!» esclamo posando il casco per terra e traducendo loro la genuina proposizione antiterroristica dell’amico partenopeo.

Si dà il caso che per il fine settimana sono nei paraggi anche altri amici in comune, amici di lunga data soggiunti presso la capitale dal verdeggiante centro della Francia, dove abitano ormai da qualche anno. Si dà il caso che questi stessero passando esattamente accanto allo Stade quando i terroristi in missione a Saint Denis si sono fatti esplodere, talmente vicino a loro che l’auto nella quale viaggiavano ha sobbalzato… – Allora, quale migliore occasione per ritrovarsi insieme se non quella d’averla scampata bella?

Un giro di chiamate, un paio di smessaggiate su internet: si vuol mettere in pratica Il Piano Gnocchi nonostante i posti di blocco delle forze dell’ordine, la dissuasiva crescente presenza di militari a giro e le vociferazioni dell’eventuale coprifuoco che peserebbe sui diversi quartieri della città e sulla sua frontiera urbana…

Forse non ho mai parlato tanto al telefono prima d’ora. Mi bruciano le orecchie, il vecchio cellulare comincia a dar segni di cedimento quando realizzo – con uno sgomento neanche lontanamente paragonabile a quello procuratomi dalla gravità degli attentati, che non c’è verso di mettere tutti d’accordo. Chi è in città vuole restarci, la paura fa novanta (va da sé, dopotutto, altroché!); chi è qui in banlieue, invece, è fin troppo contento di non essere nell’occhio del ciclone e preferisce giovarsi, per una buona volta, della periferica segregazione.

Ciro, del resto, si è addirittura slogato una caviglia qualche giorno fa: non sta certo a lui di muoversi con chili di vettovaglie sul groppone. Mi offro di andare a recuperarlo in moto, ma il dolore alla giuntura e l’ingombro dei manicaretti lo obbligano a dare forfait. Quando il telefono rende l’anima siamo di fatto frammentati, noi buoni amici, divisi dalle frontiere posticce dei luoghi (comuni e non) e resi insicuri dalle misure (non?) prese dalla sicurezza nazionale. E questo nonostante si sia tutti e per gran fortuna vivi e vegeti e che il coprifuoco non sia stato instaurato affatto!

L’assenza di coesione sociale lascia terreno alla germinazione des herbes folles – delle erbacce. C’è chi come me dice che che non va fatto di tutta l’erba un fascio. Ma c’è chi, a proposito di fasci, già si stropiccia le mani del recente macello, giacché questo tipo di stato conviene al terrorismo ed il terrorismo conviene al terrorismo di stato. E siccome la politica estera di una certa nazione-vessillo dell’occidente ha largamente contribuito, colle sue forme d’ingerenza che diversi paesi europei emulano, all’evocazione di questo mostro che è l’Isis – versione 2.0 dell’atavico nemico della cristianità, il mostro Saracino -, dai tempi della Battaglia di Lepanto praticamente mai quanto oggi le sponde del Mediterraneo non correvano altrettanto il rischio (cospicuo) di riprendere le ostilità secondo il secolare paradigma delle guerre sante. Insomma, piove sul bagnato.

La situazione è inestricabile: mi sa tanto che chi è a Parigi se magn’i gnocchi, e noi altri restiamo fra sub-borghesi. Menomale che i Siciliani di Saint Denis parlano di cannoloni e non di candelotti: forse passeremo da loro per la merenda, forse? Intanto domando gentilmente ai telespettatori di casa se posso spengere «la cosa». Ho l’accordo, evviva. Il flusso d’informazione è troncato di netto. Il tubo catodico, raffredandosi, esala nell’area domestica un sentore di solvente, di polvere da sparo e carne bruciata.

Penso agli gnocchi di Ciro che non ci sarà verso di mangiare colla gente che amo. Penso che il terrore ha avuto la meglio sulla voglia di stare insieme ma anche sul buonsenso generale perché, visto l’andazzo, oggi non sarà più sicuro di domani, nella fattispecie se ogni Musulmano sarà additato come jihadista, discriminato più di quanto non lo è già e spinto dalla nevrosi a radicalizzarsi e a diventare pericoloso per davvero.

Quanto a chi si stropiccia le mani su quest’aberrazione, ossia le varie Le Pen ed i plurimi Salvini che colgono l’attimo propizio per sbraitare «ve l’avevavamo detto, noi, che le frontiere vanno chiuse», penso che siano campioni d’ignoranza e di barbarie, perché per non vedere che molti dei migranti di questi giorni l’Isis l’hanno conosciuto e lo stanno fuggendo – per non riconoscere, insomma, che questi disperati hanno paura, bisogna proprio averci il prosciutto sugl'occhi (il che farà ancor più incazzare i diversi Jihadi John).

Ergo, penso che se avessimo dato retta a loro avremmo dovuto, per una semplice questione di coerenza politica, barricare le porte del Bataclan ed impedire l’uscita dei malcapitati ostaggi che vi si stavano facendo massacrare.

MarcoMora, 15/11/15

 

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