Valdarnopost ha incontrato Rivo Vanzi, Antonio Garofalo, Maria Uggeri, Pierluigi Pierazzini e Edo Baldetti: erano cinque dei funzionari dell’ufficio tecnico del comune di Montevarchi in servizio nel novembre del ’66. Dall’esondazione del Giglio a quella del Dogana, dalle zona isolate alla ricostruzione, nelle loro parole i ricordi di quell’evento che colpì il Valdarno
Era un giovedì pomeriggio, quel 3 novembre del 1966. Lo ricordano bene gli impiegati dell'Ufficio tecnico del comune di Montevarchi, che intorno alle 16 avrebbero dovuto riunirsi per una commissione. Ma non ce ne fu il tempo: l'esondazione degli affluenti dell'Arno, di lì a poche ore, avrebbe sommerso il fondovalle e il centro di Montevarchi di un metro e mezzo di acqua e fango.
All'Ufficio tecnico, in quei mesi, lavoravano in nove. Valdarnopost ne ha incontrati cinque: l'architetto Rivo Vanzi, che ne era il responsabile, insieme ad Antonio Garofalo, Maria Uggeri, Pierluigi Pierazzini e Edo Baldetti. Con loro, lavoravano al tempo anche Vinicio Buffoni, Vezio Gren, Garibaldo Rossi e Adriano Spaghetti. Alcuni di loro purtroppo non ci sono più, altri non abitano più a Montevarchi.
Più che una intervista, una lunga conversazione con cinque persone che quella notte la passarono al lavoro, e che l'alluvione l'hanno vissuta non solo nell'emergenza del momento, ma anche nella ricostruzione successiva. I loro ricordi partono proprio dalle prime ore del pomeriggio del 3 novembre, quando arrivarono le notizie di alcuni torrenti che avevano rotto gli argini, dopo quattro giorni di pioggia quasi ininterrotta.
Edo Baldetti abitava a Levane e passò la notte a Montevarchi; Antonio Garofalo abitava a Montevarchi, ma passò la notte a Levane. Come loro, tanti cittadini furono colti dall'improvvisa impraticabilità delle vie di comunicazione. Le strade erano invase da fiumi di acqua e fanghi, e da detriti che la piena dei torrenti aveva portato con sé. Sotto ai ponti si accumulavano tronchi di alberi spazzati via dalla furia dell'acqua, e si cercava di intervenire come possibile.
In serata, anche alcuni tratti dell'Autosole furono chiusi. E così sull'allora Statale 69 si riversarono anche i mezzi pesanti che venivano fatti uscire ai caselli. A Montevarchi trovavano già alcuni danni, strade chiuse e ponti parzialmente crollati. L'Ufficio tecnico, con gli operai del comune, lavorò tutta la notte per gestire al meglio una situazione problematica. Qualche ora dopo arrivarono anche gli aiuti dall'esercito: era l'alba del 4 novembre, di lì a poco sarebbero arrivate notizie devastanti da Firenze.
"Per qualche giorno fu difficile trovare il tempo per andare a dormire", ricordano ancora. "Il lavoro da fare era tantissimo, fra la ripulitura immediata, i sopralluoghi negli edifici pubblici, le verifiche e così via. Fu un lavoro immenso". Come quello che arrivò dopo: "Venne il momento di ricostruire gli argini spezzati, di progettare opere di salvaguardia idraulica – raccontano – fu un lavoro svolto soltanto da comune e Genio Civile, non c'erano altri enti. E in un anno soltanto riuscimmo a mettere in piedi un sistema solido, fatto di arginature e collettori e molto altro. Tante di queste opere ancora sono in funzione".
Di quella notte del 3 novembre, Edo Baldetti conserva ancora il racconto che ne fece il Maestro Giovanni Franchi, che intorno a mezzanotte, insieme a un tecnico di Enel, uno del comune e l'allora Maresciallo dei Carabinieri di Levane, arrivò alla Diga. Ne legge alcuni passi: "Eravamo là per constatare la grandezza della piena, tutta la diga era illuminata da numerosi fari; ricordo che il ponte sospeso vibrava paurosamente sotto i nostri piedi. […] Ricordo che a monte il lago era gonfio e carico di una potenziale energia incontenibile e minaccioso spingeva verso di noi. Molti alberi divelti dalla piena venivano galleggiando verso la diga, in prossimità delle paratoie il vortice dell'acqua li drizzava in alto per tutta la loro lunghezza e li risucchiava facendoli uscire dal basso. Era una veduta impressionante, quasi fantastica". E conclude: