Nei giorni successivi al 4 novembre, in molti puntarono l’indice verso la Diga di Levane. Era un errore: una diga non può in alcun modo aggravare la piena naturale. A distanza di cinquant’anni, la abbiamo visitata insieme a Enel. E abbiamo fatto il punto anche sul progetto di sovralzo
In Valdarno qualcuno ancora ricorda un megafono che, fra il 3 e il 4 novembre di quel 1966, girava per i paesi gridando alla gente di mettersi in salvo, perché la diga era crollata. Non era vero, ovviamente, visto che a distanza di cinquant'anni è ancora al suo posto. Ma la Diga di Levane, insieme a quella di La Penna, furono a lungo sospettate, erroneamente, di essere comunque le responsabili dell'alluvione di Firenze, di aver in qualche modo ingrossato la portata dell'Arno. E lo dimostra il fatto che quando La Nazione torna in edicola, il 6 novembre del '66, titola così:
Ci vollero un'ispezione del Ministero dei Lavori Pubblici e una inchiesta della Magistratura per sfatare ogni dubbio ed escludere definitivamente che "l'onda di piena naturale sia stata in alcun modo aggravata (dalle dighe, ndr) poiché dalle paratoie è stata scaricata a valle dello sbarramento la stessa portata affluita nel serbatoio". Perché una diga funziona proprio così, spiegano anche oggi da Enel: accumula quantità di acqua a monte, se è possibile svolge funzioni di laminazione (cioè fa uscire dalle paratoie meno acqua di quella che arriva), oppure nella sua massima apertura ne fa uscire, a valle, tanta quanta ne arriva a monte. Un filtro trasparente, insomma. Ma una diga non può aggiungere altra acqua alla naturale portata del fiume in piena.
Lo ha ribadito in una intervista a Valdarnopost, sulla diga di Levane, l'ingegner Alberto Sfolcini, responsabile di Hydro Enel Toscana ed Emilia.
Grazie ad Enel abbiamo potuto visitare la Diga in questi giorni che ci avvicinano al cinquantesimo anniversario dell'alluvione del '66. Ed è stata così l'occasione anche per parlare del progetto di sovralzo, destinato proprio ad aumentare la capacità del bacino a monte della Diga di Levane. Della progettazione si è fatta carico proprio Enel, che a ottobre del 2015 ha depositato tutti i progetti pronti. Ora sta agli enti pubblici confermare gli impegni e finanziare l'opera, dal costo stimato fra i 20 e i 25 milioni di euro.
L'obiettivo è di alzare il muro della diga, quello della foto sopra: oggi la diga è alta 167,5 metri rispetto al livello del mare (si misurano così le altezze delle dighe), e può contenere fino a circa 5 milioni di metri cubi d'acqua, al massimo. Il sovralzo previsto è di circa 4 metri e mezzo: si arriverebbe così a 172 metri di altezza sul livello del mare, e si potrebbero contenere (in caso di piena) 10 milioni di metri cubi di acqua in più: in tutto, circa 15 milioni. Questo significa però che, nella gestione ordinaria della diga, il bacino che si forma a monte (e intorno al quale si trova la riserva naturale di Valle dell'Inferno e Bandella) non cambierebbe affatto: solo in caso di piena si sfrutterebbe questa aumentata capacità. E per la produzione elettrica non cambierebbe invece nulla, perché i macchinari che sfruttano il passaggio dell'acqua per produrre energia non verranno toccati: il che significa che la capacità di produzione elettrica rimarrà esattamente la stessa di oggi.
Il progetto c'è, l'impegno di Regione e Governo è stato ribadito più volte, perché il sovralzo si faccia davvero. Nel cinquantesimo anniversario dell'alluvione si fisseranno probabilmente nuove scadenze, nuovi impegni per il finanziamento e la realizzazione di questa opera. Ma visto quanto si sono dilatati i tempi per la costruzione delle casse di espansione nella zona di Figline (solo una è effettivamente pronta a entrare in funzione), c'è da aspettarsi tempi burocratici lunghi. Secondo le stime, una volta dato il via ai lavori basterebbero circa due anni per completare il sovralzo. Lo stesso tempo che si impiegò, negli anni '50, per costruire la Diga di Levane.