27, Dicembre, 2024

Una guerra vissuta da lontano: i sentimenti della comunità ucraina. Il racconto di Maria

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Il dramma che si sta consumando in Ucraina vede tra gli spettatori più coinvolti cittadini provenienti da quelle zone, con parenti che stanno vivendo la guerra sulla propria pelle. Le notizie sono ermetiche e sporadiche e questo fa sì che lo stato d’animo di queste persone sia caratterizzato da preoccupazione continua. Un’agitazione senza tregua, che trova rifugio solo quando arrivano comunicazioni di vita certa.

A testimoniare questi stati d’animo, a dare voce alle preoccupazioni degli ucraini in Valdarno come del resto in Italia, è Maria: sessantenne proveniente da Leopoli; in Italia dal 2001 e residente a San Giovanni. “A Leopoli ho lasciato mio figlio, mia figlia, le mie due nipoti e mio genero. Mia figlia è un’insegnate di matematica e fisica, la mia nipote più grande (19 anni) è un’infermiera; mio genero lavora nella polizia e mio figlio era un architetto, ma da venerdì scorso è anche un paracadutista per l’esercito. Le cose funzionano così: come in ogni guerra ci sono persone che sono tenute ad arruolarsi, per questo mia nipote, infermiera, non può lasciare la città e per lo stesso motivo non posso sapere con certezza dove sia mio figlio. Le uniche notizie che posso avere su di lui provengono dalle caserme, dalle quali ricevo chiamate brevissime con le quali mi dicono il suo nome e cognome seguito da “Sta bene” oppure “Vivo”. Alcune volte riesce a chiamarmi personalmente quando non è in servizio ed è lontano dall’area dove è destinato, ma le conversazioni non sono molto più lunghe.”

Cosa sa sulla loro sicurezza? Come viene vissuta l’attesa di notizie? Spiega Maria “Sotto a tutti gli edifici in cemento armato ci sono dei rifugi, molto simili a dei bunker, dove devono rifugiarsi tutte le volte in cui vengono avvisati di un possibile bombardamento. Sentono delle sirene o degli avvisi via radio e nel giro di 10/15 minuti devono raggiungere i piani inferiori. Questi rifugi esistono solo sotto agli edifici di cemento armato, più resistenti ai bombardamenti. Mia figlia aiuta quattro ragazze delle quali è insegnante. Loro si stanno rifugiano con lei; due di loro fanno parte di una zona già sotto totale assedio. L’unica che per adesso è riuscita ad evacuare è mia nipote minorenne, che potendo muoversi ha raggiunto la campagna, dove per adesso la situazione è più calma. Quando sono a lavoro, controllo in continuazione gli accessi a tutti i social, se sono recenti significa che sono tutti vivi. Quando non lavoro, mi incollo davanti alla televisione; non riesco a prendere sonno, quando chiudo gli occhi li riapro subito, l’attesa è snervante.”

“Anche per loro l’attesa è insostenibile “- Continua Maria:” Ci sono già delle linee telefoniche che sono state bloccate, il governo a Leopoli ha messo un coprifuoco che impedisce di uscire dalle 20.00 alle 6.00. Durante quelle ore le luci non si possono accendere, per non essere localizzati. Cercano di imbottire gli infissi per attutire i rumori, cercano di oscurare più che possono le finestre e come quando c’è il terremoto, cercano di stare lontani dalle pareti. Per me, per noi, non c’è sosta. Siamo sempre ad aspettare una chiamata, una resa, una buona notizia. Siamo afflitti nel vedere una guerra che neanche capiamo. Ci dicono che siamo noi i cattivi ma io non capisco: la mia famiglia si sta riparando dai bombardamenti e farebbe parte dei cattivi? Ma stasera sto meglio, ha chiamato mio figlio, è vivo”.

Foto in evidenza Gazzattadelsud.it

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