30, Giugno, 2024

“Sfido il cielo e copro il mondo”: l’arte dei cappelli nella Montevarchi di un tempo

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L’antica arte di produrre i cappelli fu una peculiarità della Montevarchi del XIX e XX secolo. Le ditte come “Giuseppe Rossi”, “La Familiare”, “Cappellificio Toscano”, e molte altre realtà, rivestirono un ruolo importante nell’economia montevarchina, dando lavoro a numerosi valdarnesi, per la maggioranza donne.

Il Comune di Montevarchi, nel XX secolo, era noto in tutto il mondo per la produzione di cappelli. Infatti, nel 1905 nell’attuale quartiere del Pestello montevarchino sorse il cappellificio “La familiare”, il cui Presidente fu Angelo Masini. La storia della famiglia è stata affrontata dalla nostra redazione qualche mese fa, in questa occasione era stata però messa sotto i riflettori Villa Masini, dimora della famiglia che ancora oggi guarda l’antico cappellificio. La fortuna della famiglia iniziò proprio quando Masini avviò la manifattura di cappelli, che a quei tempi era una delle attività più redditizie del momento. Nell’Italia di inizio secolo imperversarono nuove mode e tendenze, simboli di una nuova classe borghese e il cappello era uno di questi.

Il Cappellificio “La familiare”, in realtà, non nacque come una ditta specializzata esclusivamente in cappelli. Nel 1905, essa venne fondata da dieci soci (il cui primo direttore fu Angelo Masini) e si chiamava per esteso “La familiare Vinicola”, in quanto in questa prima fase si trattava di una cooperativa di consumo per vino e grano in società per i cappellai. Poco dopo la cooperativa decise di dar vita al noto cappellificio, la cui storia iniziò in un capannone fra Via Mochi e l’ex cinema Politeama. Poi nel 1912, quando l’attività aumentò Masini pensò di comprare il terreno della Ginestra e costruire una struttura apposita per la produzione dei cappelli. Da una quindicina di operai iniziali, nel 1919 vi lavoravano circa 350 persone, per la maggioranza donne. 

Con il motto riferito al cappello “Sfido il cielo e copro il mondo”, negli anni della Grande Guerra, “La familiare” si specializzò nella produzione di cappelli femminili, scalzando le precedenti ditte specializzate cecoslovacche, francesi e austriache. Il cappellificio di Montevarchi arrivò ad esporre i suoi prodotti in tutte le fiore più importanti del mondo.Tuttavia, l’attività non andò sempre a gonfie vele: le campagne coloniali in Africa e lo scoppiò della seconda guerra mondiale nel 1939, portarono a un calo delle vendite e nel 1944 lo stesso stabilimento venne bombardato subendo gravi danni. Una volta terminato il conflitto, “La familiare” riottenne grandi successi, realizzando anche delle sfilate presso Palazzo Pitti a Firenze.

La presenza di lavoratrici donne fu una caratteristica che accompagnò “La Familiare” per tutta la sua storia. A Montevarchi, come del resto in tutta Italia, le donne erano rilegate nelle industrie di tessuti e si intensificò, purtroppo, il divario salariale fra donne e uomini, così: “Nel 1951, su 676 persone impiegate alla “Familiare”, 488 sono donne, che per lo stesso lavoro vengono pagate 30 lire in meno all’ora dei loro omologhi maschili”. Così si legge nell’opera Montevarchi immagini di un’industria, realizzato da Massimo Anselmi, Carla Nassini e Roberto Pecchioni. Durante la fase conclusiva della ditta, il 16 marzo 1966 all’interno della fabbrica venne anche attivata la lavorazione del pelo, la cui gestione venne affidata ad Abramo Fuccini, il “Ramino”. “La Familiare” vide la sua fine nel maggio del 1970, quando il Tribunale di Arezzo la dichiarò fallita e a nulla servirono le numerose proteste sindacali dei lavoratori.

L’altro cappellificio che fece di Montevarchi un punto di riferimento nel mondo per il settore fu la ditta “Giuseppe Rossi”. Nel 1807 iniziò la sua attività nello stabilimento in Via Garibaldi, i suoi titolari erano Giulio Marchetti e Francesco e Giovanni Rossi. Nel corso dei decenni, l’azienda è cresciuta e ha avuto successo, diventando una delle principali fabbriche di cappelli in Italia. Nel XIX secolo, sotto la guida di Gioberto Rossi, l’azienda aveva raggiunto un notevole successo, impiegando centinaia di lavoratori e esportando i propri prodotti in tutto il mondo. Tuttavia, nel secondo dopoguerra, l’industria dei cappelli ha affrontato sfide, tra cui la mancanza di materia prima e cambiamenti nella moda che limitavano l’uso dei cappelli maschili.

Nel 1951, l’azienda ha annunciato la cessazione dell’attività, scatenando lotte sindacali. Nonostante condizioni di lavoro difficili, i dipendenti hanno accettato di riprendere il lavoro per evitare il fallimento dell’azienda. Tuttavia, la crisi ha continuato a colpire l’industria dei cappelli a Montevarchi negli anni ’60, portando alla riduzione degli addetti.Nel 1970, l’azienda ha chiuso definitivamente, nonostante i tentativi di requisizione dello stabilimento. La storia del “Cappellificio Giuseppe Rossi” rappresenta un esempio di come le aziende possano affrontare sfide economiche e sociali nel corso del tempo.

Molte altre realtà industriali fiorirono a Montevarchi, anche in ritardo rispetto alle due sopracitate. Il “Cappellificio Toscano” ne è un esempio: esso è stato fondato nel 1937 e si trovava in via Gorizia. L’azienda era specializzata nella produzione di feltri maschili e femminili di alta qualità, i quali erano molto apprezzati sia in Italia che all’estero. La sua gamma di prodotti comprendeva coni, cappelline e bande utilizzati da altre ditte per la creazione di cappelli finiti. Lo stabilimento era all’avanguardia nel settore, vantando un efficiente sistema di aspirazione e un attivo dopolavoro sin dagli anni ’40. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’azienda conobbe una significativa espansione, arrivando a impiegare 75 persone nel 1951, grazie all’impegno dei fratelli Sergio, Siro e Dino Benini. Tuttavia, la prematura scomparsa di Dino nel 1960 portò a Sergio e Siro a dirigere l’azienda.

Tra la fine del 1969 e i primi mesi del 1970, l’azienda fu venduta ad Antonio Ferrario, proprietario del “Cappellificio Paleari e Ferrario” di Monza, specializzato nella produzione di copricapi e feltri di lana. La produzione del “Cappellificio Toscano” fu trasferita nei locali dell’ex “Camiciotti,” che aveva chiuso nel 1972. Le due aziende collaborarono, con il secondo che forniva coni di lana per essere lavorati dal primo e trasformati in feltri pronti per la vendita. Inoltre, il “Toscano” continuò a produrre feltri di pelo, venduti ad altri cappellifici o cappellai artigianali per la creazione di cappelli completi, e baschi a maglia tricot. Nel 1985, entrambi i cappellifici furono trasferiti in un unico stabilimento a Levane, in località Palazzotto nel Comune di Bucine, dove in passato venivano prodotte biciclette “Aquila”. La produzione congiunta continuò fino al 1991, quando lo stabilimento chiuse definitivamente. Nel medesimo anno, il fabbricato di Via Gorizia che aveva ospitato il “Cappellificio Toscano” a Montevarchi fu demolito per far spazio a nuove costruzioni residenziali.

 

Fonte: Montevarchi immagini di un’industria. Cappellifici e pelifici, cappellaie e cappellai, pelaiole e pelaioli che hanno fatto la storia di una città per oltre 150 anni in circa 600 fotografie, Massimo Anselmi, Carla Nassini e Roberto Pecchioni.

Nello specifico, le varie fotografie qui riportate sono a cura di: Mario Trefoloni, Massimo Anselmi, Orlando Pagni, Guido Dani, Leonello Picchioni, Romano Bani, Silvio Scala, Antonio Manta

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