Dopo il caso tutto valdarnese della condanna di un giovane per aver pubblicato un video hard personale senza l’autorizzazione della ragazza protagonista, l’avvocato Piera Santoro indica gli strumenti per tutelarsi
Dopo la condanna esemplare a dieci mesi inflitta dal Tribunale di Firenze a un ragazzo valdarnese che nel 2015 ha diffuso su WhatsApp un video hard dell'ex fidanzata di un amico, senza che lei avesse dato l'autorizzazione, l'avvocato Piera Santoro, consulente presso il centro antiviolenza di Arezzo, spiega la gravità di un fenomeno che sembra essere in aumento e gli strumenti esistenti per tutelarsi.
Partendo dall'assunto che gli utenti dei social spesso utilizzano lo strumento della condivisione senza comprenderne appieno i rischi, l'avvocato spiega: "Pubblicare on line un video o un’immagine senza il consenso della persona ritratta costituisce un illecito che varia di gravità a seconda del contesto in cui avviene. Una persona che acconsente a farsi fotografare e/o riprendere in un video non autorizza automaticamente anche la diffusione/pubblicazione della sua immagine. Dunque per poter pubblicare/condividere su internet l’immagine di un’altra persona occorre un’autorizzazione esplicita".
Cosa comporta la mancata autorizzazione alla diffusione del video?: "La mancanza di tale autorizzazione determina, in prima battuta, una violazione del diritto alla riservatezza tutelato nel nostro sistema dal Codice della Privacy; nei casi più gravi si può arrivare alla diffamazione, violenza privata, stalking, estorsione a seconda del contesto e dei motivi dietro la pubblicazione illegittima. Condividere su una chat come ad esempio snapchat, whatsapp, messenger, facebook, un video di una persona ritratta in atti intimi di natura sessuale senza che la/il protagonista abbia dato il suo consenso determina sicuramente il reato di diffamazione previsto e punito dal nostro codice penale all’art. 595".
In Valdarno la vicenda è diventata un incubo per una giovane vittima: in due anni ha perso il lavoro, è stata costretta a rimanere chiusa in casa e ad andare poi lontano, è dimagrita dieci chili, è caduta in depressione, si è dovuta rivolgere al pronto soccorso e ancora adesso è in cura. Ma alla fine ha avuto la soddisfazione di vedere condannato colui che le ha rovinato la vita.
"Purtroppo il fenomeno è tristemente in aumento ed è figlio di una mentalità ignorante e retrograda – continua l'avvocato Santoro – le vittime per la maggior parte sono le donne, causa un pregiudizio di genere che attribuisce disvalore sociale alla libertà sessuale della donna ,e gli adolescenti i quali sono i più esposti (trascorrendo molte ore online) e i meno consapevoli dunque vulnerabili".
"Numerosissimi i casi di adolescenti che sono stati vittime di tentativi di estorsione da parte di coetanei che dopo averle filmati in atteggiamenti intimi e dunque in un momento di grande vulnerabilità e di affidamento completo, si sono visti avanzare richieste di danaro altrimenti il video e/o la foto sarebbero finiti su internet. Parimenti sono numerosi i casi di adulti che con la promessa di danaro raggirano minori e si fanno inviare foto e/o video a sfondo sessuale, in questi casi possono scattare reati come la pornografia minorile, istigazione alla prostituzione, sfruttamento della prostituzione".
"Altre volte l’autore della pubblicazione e/o condivisione è l’ex- compagno/fidanzato/marito che amareggiato, incapace di accettare la fine della relazione si vendica distruggendo la reputazione dell’altro, in questi casi se la condotta è reiterata oltre alla diffamazione può scattare l’accusa di stalking".
"Nel caso di Tiziana Cantone suicidatasi a causa del video hard in rete sono state ipotizzate a carico dei presunti autori non solo la fattispecie di diffamazione ma anche l’istigazione al suicidio. Dunque non è possibile aggregare tutto sotto lo stesso cappello ma ogni caso è diverso e prevede fattispecie delittuose differenti e strumenti di tutela differenti".
Come tutelarsi?: "Innanzitutto se ci accorgiamo che in rete girano foto e/o video nostri senza che siano stati autorizzati dobbiamo subito chiedere al sito che ospita il contenuto la rimozione dello stesso – risponde l'avvocato Santoro – e contestualmente chiedere al motore di ricerca la deindicizzazione del contenuto, cosa semplice sulla carta ma un inferno nella realtà perché spesso i siti e gli stessi motori di ricerca sono “sordi” alle richieste. In questi casi ci si può rivolgere al giudice civile e chiedere che emani un provvedimento d’urgenza con il quale ordini al sito e/o al motore di ricerca l’eliminazione del contenuto. Contestualmente il caso può essere sottoposto anche al garante della privacy mediante esposto".
"Sotto il profilo penale occorre presentare una denuncia ai carabinieri o alla polizia postale a carico dell’autore della pubblicazione. Possibilità per la vittima, o mediante un atto di costituzione di parte civile in sede di processo penale e mediante un’azione di risarcimento danni in sede civilistica, di chiedere il risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento. La vittima, infatti, dovrà essere risarcita della lesione all’onore, alla reputazione, alla dignità subita ma dovrà essere ristorata anche del dolore patito, del cambiamento di vita che ha dovuto subire, dell’isolamento sociale a cui sicuramente sarà stata costretta per la vergogna".
L'invito, dunque, come già ha fatto la giovane vittima valdarnese, è quello di non avere paura e denunciare i fatti.