Su chiama Revenge porn ed è la condivisione pubblica tramite il web di immagini intime esplicite, senza alcun consenso del protagonista. Quella del Tribunale di Firenze farà storia: una sentenza così dura lascia il segno e può indurre, chi ancora non l’ha fatto, a denunciare
Una sentenza storica: il Tribunale di Firenze ha condannato a dieci mesi con la sospensione della pena un giovane valdarnese per aver diffuso un video hard personale e aver causato gravi danni alla ragazza che ne era protagonista. Per lei, 21 anni all'epoca dei fatti, sono stati due anni da incubo ma adesso è soddisfatta di vedere il responsabile di tanto dolore punito e parla perchè le altre ragazze che dovessero trovarsi nella sua stessa situazione possano avere la forza e il coraggio di raccontare e denunciare.
I fatti risalgono al 2015. Dopo la rottura con il fidanzato il video spinto che aveva realizzato per lui finisce su whatsapp e in poco tempo si diffonde a macchia d'olio, condiviso da tantissime persone. Per la giovane inizia l'incubo. Lascia il lavoro, si chiude in casa, viene colpita da attacchi di panico, non mangia, dimagrisce dieci chili ed è costretta ad andare via dal Valdarno e questo perchè viene aggredita verbalmente sui social network, presa di mira, giudicata e sbeffeggiata. E l'amarezza ancor più grande è stato, per lei, che a farlo sono state in prevalenza donne.
“Stavo insieme a questo ragazzo. Io sono consapevole di avere sbagliato, ho le mie colpe ma non ho fatto male a nessuno. Un giorno un amico mi ha avvertito che stavano girando questi video e da quel momento ho cominciato a stare male: mi sono chiusa in casa, sono entrata in depressione, ho iniziato soffrire di attacchi di panico, sono domagrita dieci chili. Dopo una settimana ne ho parlato con i miei familiari: mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Mi vergognavo ma l'ho fatto e mi sono stati tutti vicini. Ho denunciato la vicenda ai carabinieri che hanno dato il via alle ondagini. Si è attivata anche la polizia postale”.
“Ho anche cercato il mio ex fidanzato per capire perchè avesse diffuso il video. Lui diceva che non era stato e che il suo cellulare non lo aveva più. Poi è stato appurato che invece era stato lui e che lo aveva inviato a un suo amico e che questo a sua volta lo aveva diffuso a tantissime persone a partire da alcuni gruppi di whatsapp. Il video si è diffuso a macchia d'olio in tutto il Valdarno”.
Da quel momento per lei inizia l'incubo: “Sul posto di lavoro non potevo più starci, la gente entrava solo per chiedermi del video, e così ho dovuto lasciarlo. Per un anno non sono uscita, sono andata a Londra dal mio attuale ragazzo. In Valdarno non potevo uscire di casa, su facebook era un'offesa continua. Era diventato un incubo. La mia salute stava peggiorando”.
Poi finalmente la svolta: la vittima ha iniziato a informarsi su altri casi simili e purtroppo ha scoperto che tante giovani, con la sua stessa esperienza, non avevano retto all'umiliazione e si erano tolte la vita. E ha deciso di reagire. Non voleva fare la stessa fine.
“Mi sono detta: proviamo a vedere se qualcuno mi aiuta concretamente. Stare a distruggermi fisicamente e mentalmente era inutile. Stavo continuando a dimagrire, a restare in casa senza mangiare, senza poter lavorare. Mi sono informata da un legale: per fortuna ho trovato un grande avvocato, una donna. Abbiamo iniziato ad affrontare il processo”.
E la sentenza del Tribunale di Firenze farà storia: l'ex fidanzato dovrà affrontare il processo civile per il risarcimento ma l'amico, che ha chiesto il patteggiamento, è stato invece considerato, in sede penale, colpevole di aver diffuso il video e per questo condannato a dieci mesi. Erano stati chiesti 4 mesi ma il giudice ha aumentato la pena. Le prove raccolte dalla polizia postale, in maniera particolare, sono state determinanti.
La giovane adesso si rivolge a tutte coloro che hanno vissuto o stanno vivendo la sua esperienza: “Denunciate. Adesso c'è qualcuno che vi aiuta. Ci vuole tanta pazienza. Può durare tanto. Se non ci fosse stato il patteggiamento io starei ancora aspettando dal 2015. Ci vuole tanta forza ma anche la consapevolezza che non abbiamo fatto del male a nessuno per questo è bene parlarne e denunciare”.
“Per me è stato un incubo. In due anni ho avuto 15 ingressi in pronto soccorso, ho dovuto fare varie cure, non ho mangiato per mesi. Ancora mi sto sottoponendo a esami. Non è stata una cosa leggera. Sono stata a pezzi. In quei momenti non trovi una via d'uscita quando poi invece è quella più semplice e intelligente: denunciare e capire una volta per tutte che non siamo state noi a fare del male. Chi si deve vergognare non siamo noi ma chi ha rovinato la vita a una persona”.
“La sentenza è stata una vittoria attesa e meritata. Mi hanno aiutata molto la mia famiglia e il mio ragazzo che ha avuto comunque ripercussioni per il fatto che stava con me”.
La sua vita ancora non è tornata del tutto normale. Da soli due mesi ha iniziato a uscire di nuovo ma per trovare un lavoro è dovuta andare a Firenze perchè in Valdarno ancora quella storia non è stata dimenticata.
“Ho provato a fare uno stage e poi sono stata mandata via. In Valdarno trovare lavoro per me è impossibile. Quando viene fuori questa storia cambiano tutti i rapporti. Per specializzarmi e trovare lavoro mi sono dovuta spostare su Firenze. Qui il passato di una persona pesa. Ma non mi abbatto più: la mia vita non si ferma in Valdarno”.
La prossima tappa che l'attende è il processo civile per il risarcimento del danno subito.