Si chiama “Dimensioni dei governi locali, offerta di servizi pubblici e benessere dei cittadini”, firmato dalla ricercatrice Sabrina Iommi, lo studio Irpet datato 2013 che in questi giorni è tornato di grande interesse pubblico. Disegna una Toscana completamente diversa, puntando su una drastica riduzione dei comuni
"In un contesto come quello italiano e toscano, caratterizzato da eccessiva frammentazione amministrativa del governo locale rispetto alla manifestazione territoriale dei fenomeni socioeconomici, la crescita dimensionale degli enti che si ottiene con procedimenti di fusione dei soggetti esistenti non può che avere effetti positivi". La frase è contenuta in una pubbliazione del 2013, firmata dalla ricercatrice Sabrina Iommi dell'Irpet. Quella ricerca è tornata prepotentemente alla ribalta in questi giorni, dopo un articolo del Corriere Fiorentino.
La conclusione della ricerca, dal punto di vista puramente scientifico, è che accorpando i comuni, specie quelli più piccoli, si potrebbe risparmiare molto: tra i 60 e i 140 milioni di euro all'anno. Una stima che tiene conto di vantaggi di natura economica, organizzativa, la riduzione dei costi della politica e così via: la simulazione punta dunque a individuare lo scenario ideale per "ridurre i costi di “funzionamento della macchina”, al fine di liberare risorse, finanziarie e umane, da destinare al risparmio di spesa imposto dai vincoli di bilancio, alla riduzione della pressione finanziaria sui cittadini o al potenziamento dei servizi, da cui dipendono benessere dei cittadini e competitività delle imprese".
L'Irpet ha messo alla prova tre possibili scenari, e ridisegnato la geografia politica della Toscana per verificare i possibili risparmi. Ecco le tre ipotesi.
1) Divisione in basi ai bacini degli spostamenti casa-lavoro: i 287 comuni diventano circa 50, individuati applicando il criterio del massimo autocontenimento degli spostamenti giornalieri casa-lavoro. Le dimensioni, sia demografiche che territoriali, sono molto varie: disomogenee, per dirla in termini tecnici. Il Valdarno, in questo scenario, sarebbe un unico comune sul versante aretino, mentre i comuni del versante fiorentino finirebbero nel maxi-comune di Firenze. E i risparmi? Poco meno di 100 milioni di euro all'anno, pari a circa il 10% (i dati di riferimento dello studio in questione sono però del 2010).
2) Distretti sociosanitari. I 287 comuni della regione sono raggruppati in 34 nuovi comuni corrispondenti alle Zone Socio-Sanitarie, quelle nate dalla concertazione tra Regione ed Enti Locali, suddivisioni di territori più ampi, facenti capo alle diverse ASL. Anche in questa simulazione il Valdarno sarebbe diviso in due diversi comuni: quello corrispondente all'attuale distretto sociosanitario del Valdarno aretino; e quello ritagliato nei confini della zona Fiorentina Sud-Est, che comprende i comuni del Valdarno fiorentino, Chianti fiorentino e Valdisieve. Questo disegno porta frutti migliori, sul fronte dei risparmi: 138 milioni di euro in meno all'anno, pari circa al 15% a livello regionale.
3) Divisione in base ai bacini individuati dalla L.R. 68/2011. Le aggregazioni territoriali previste dalla L.R. 68/2011 riguardano solo i comuni fino a 5mila abitanti, soglia ridotta a 3mila nel caso di enti appartenenti o appartenuti ai Comunità Montane. Rimarrebbero 167 comuni, e si promuoverebbe la fusione solo dei comuni più piccoli, quasi tutti quelli con meno di 5mila abitanti. In questo caso, il Valdarno rimarrebbe per la maggior parte con l'aspetto attuale, fatte salve alcune fusioni dei comuni più piccoli. I risparmi, in questo caso, sono inferiori: circa 60 milioni di euro, pari al 6%.
Questo il risultato 'accademico', per così dire. Quella ricerca del 2013 non fa altro che confermare, dal punto di vista scientifico, l'assunto che in molti condividono, almeno a parole: 287 comuni sono troppi in Toscana, si spenderebbe molto meno promuovendo le fusioni. Il Valdarno il suo contributo lo ha già dato, in realtà, almeno in parte: visto che dal 2013 a oggi sia sul lato fiorentino che su quello aretino si sono contate due fusioni, con la nascita del comune unico di Figline Incisa e di quello di Castelfranco Piandiscò. Poi, però, più nulla si è mosso (nei fatti).
Perché a parole, invece, la cronaca sarebbe lunghissima. Decine di dichiarazioni, del sindaco di turno, delle categorie economiche, di esponenti politici: tutti a promuovere un processo virtuoso di fusione a livello di Valdarno che poi, nei fatti, non si realizza mai. L'unico atto portato a realizzazione, negli ultimi anni, è quel protocollo d'intesa che ha unito per la prima volta tutto il Valdarno (aretino e fiorentino insieme, a differenza di quanto prevedeva la ricerca Irpet) e la Valdisieve, individuando così un bacino "ottimale", privilegiato.
Quella mossa, portata avanti con convinzione dall'attuale presidente della Conferenza dei Sindaci del Valdarno, il sindaco di San Giovanni Maurizio Viligiardi, aveva come obiettivo principale quello di condividere politiche sanitarie unitarie (e salvare, in questo modo, le sorti dei due ospedali valdarnesi, la Gruccia e il Serristori) ma poi di sviluppare anche politiche economiche, di programmazione territoriale e di sviluppo omogenee.
Il messaggio che ne era emerso, in qualche modo, era che il Valdarno potesse unirsi per alcuni obiettivi nobili, magari guardando a Firenze più che ad Arezzo. Una linea politica ci potrebbe essere, insomma. Ma i fatti sono ancora lontani.