Una categoria per la quale il rischio contagio sembra essere stato sottovalutato, ed ancora oggi è esclusa dai piani vaccinali prioritari. La voce del titolare Alberto Nannicini su quanto sia cambiato il lavoro a più di un anno dall’inizio della pandemia
"In più di quarant'anni di attività abbiamo avuto 10 deceduti per malattie infettivo-diffusivo, nell'ultimo anno invece il numero si attesta tra i 30 e i 40". Sono le parole di Alberto Nannicini, titolare dell'impresa funebre F.lli Nannicini di Montevarchi: simbolo della gravità dell'epidemia Covid, ma anche del rischio che gli operatori funebri corrono ogni giorno.
Da quando è iniziata la pandemia, difatti, gli impresari funebri, come il personale sanitario sono sempre a stretto contatto con persone e luoghi di altissimo contagio. È da questo che è nato l'appello di Nannicini per il vaccino, già fatto ad avvocati ed altre categorie, ma che per ora ha escluso le imprese funebri dal piano vaccinale prioritario.
"Non abbiamo niente contro altre categorie già vaccinate e tanto meno chiediamo privilegi – dice Nannicini – ma il giusto riconoscimento e ancor di più la tutela nel nostro lavoro, per noi è molto importante tanto che, dopo aver fatto delle interrogazioni alla nostra federazione, la Feniof, ci siamo rivolti personalmente alla Regione che però ci hanno risposto che si sarebbero attenuti al piano nazionale, anche per la Asl del Valdarno la risposta è stata la stessa e siamo rimasti un po’ stupiti, perché ci sono state categorie che secondo noi hanno un minor rischio che sono già state vaccinate, e noi ancora non abbiamo ricevuto nessuna risposta e nessuna vaccinazione."
Nannicini ha poi raccontato di quanto sia cambiato il lavoro dell'impresario funebre da quando è iniziata la pandemia, una testimonianza che riflette su dispositivi di protezione individuale e i funerali, radicalmente spersonalizzati: "Il nostro lavoro è cambiato sotto moltissimi aspetti: è cambiato perché all’inizio circa un anno fa quando è cominciata abbiamo dovuto attrezzarci in modo proprio per cercare i DPI, tutti gli strumenti per potersi tutelare e proteggere, quindi all’inizio è stato molto faticoso poi la cosa è andata a regime. È cambiata la gestione dei clienti: ci siamo trovati ad avere clienti che non potevano venire qui da noi in ufficio quindi abbiamo dovuto organizzare tutto quanto solo telefonicamente c’è stata una completa spersonalizzazione e il funerale è cambiato tantissimo, perché in certi momenti quando abbiamo dovuto affrontare la morte di persone decedute per Covid, il funerale in pratica non esisteva più, si trattava di, purtroppo, lo dico in un brutto modo, trasportare una sorta di pacco da una parte all’altra."
"È radicalmente cambiato sia l’approccio con il cliente sia del nostro servizio – continua Nannicini – non solo, il funerale in sé non esisteva più perché molto spesso non ci sono state cerimonie funebri, non si potevano fare affissi murali perché non serviva a niente e la famiglia non voleva, altrettanto vale per i fiori. Questo non coinvolge soltanto noi, ma tipografi, fioristi e tutto quello che è correlato al nostro lavoro, quindi commercialmente è stato un totale cambiamento, abbiamo dovuto riciclarci e reinventarci per affrontare la situazione."
Nannicini ha poi spiegato per chi non è del settore quali e quanto siano elevati i rischi nell'esercitare la professione: "Il rischio è un rischio molto evidente, purtroppo non è altrettanto molto evidente persino a tecnici del nostro lavoro e vorrei dire anche per il personale sanitario, perché è facile dire che una persona è deceduta, non respira, non tossisce, non starnutisce, perciò non ci sono grossi rischi, però teniamo conto che noi tocchiamo e maneggiamo una persona che è deceduta, quindi veniamo a contatto comunque con parti che potrebbero essere a rischio; non solo, all’inizio dell'epidemia ho fatto interrogazioni in Regione perché a mio parere sarebbe stato opportuno che per la tutela di tutti, non solo per noi operatori ma per la famiglia stessa, avere la garanzia, tramite tamponi che una persona sia deceduta come Covid o non Covid."
"Cosa è successo? È successo che noi ci siamo trovati con persone che sono decedute in una casa di campagna senza la certezza di sapere se avessero il Covid o no. Per noi il rischio è grosso, in questo caso chiesi che tutti fossero trattati come Covid per evitare l'incognita, ma non dico solo per noi, perché noi sempre e comunque siamo andati protetti, ma c’era anche tutta la famiglia della persona deceduta in casa. Io ritengo che il rischio sia grande e in questo senso è un po’ sottovalutato anche dalle autorità competenti."