Ci sono dipendenze che si vedono e si toccano, come quelle dalle droghe, dall’alcol o dal gioco e ce ne sono altre, più nascoste, più subdole, ma che hanno effetti ugualmente dirompenti nella vita di coloro che ne sono affetti.
Una di queste è la dipendenza affettiva che sembra erroneamente colpire in misura maggiore il genere femminile. Abbiamo approfondito la tematica con la Dottoressa Camilla Pellegrini, specialista in Psicologia Clinica.
“Prima di rispondere alle domande è opportuno premettere che la mia formazione è fortemente psicoanalitica e questo crea implicazioni su come si interpretano i vari tipi di sofferenza affettiva, tra questi appunto la dipendenza – esordisce la Dottoressa Pellegrini – uno dei punti fondamentali di tale terapia psicoanalitica è la valorizzazione dell’unicità della persona, con la relativa ricerca dei significati che sottostanno alla base delle sofferenze stesse. Ci sono ovviamente delle caratteristiche comuni, ma è difficile tracciare un “tipo”, perchè ciò che poi caratterizza i significati che sorreggono quella patologia è, per ciascuno, diverso. Ognuno di noi, quindi, ha un vissuto unico che rimanda a tutte le esperienze che ha affrontato ed ai significati che ha ricavato da quello che gli è successo. Perciò la dipendenza riguarda donne e uomini che soffrono, ma per motivi diversi, non generalizzabili. Non è assolutamente vero che la dipendenza affettiva colpisca, difatti, in misura maggiore il genere femminile: tanti uomini, anche se poco ne viene parlato, soffrono di tale patologia, perchè le persone sono dipendenti e da un punto di vista psicoanalitico la malattia non riguarda la qualità in sè (dal gioco,dal lavoro ecc.), ma la struttura della personalità che è dipendente. Può riguardare sia uomini che donne e, se parliamo di dipendenza affettiva, può svelare altre caratteristiche, ad esempio una tossicomania:prendiamo come spunto il Don Giovanni, egli era un dipendente affettivo! Tra il tossicomane ed il dipendente affettivo, la struttura di fondo è la medesima ed ha una caratteristica fondamentale che accomuna il Don Giovanni, il tossicomane o il giocatore d’azzardo, ovvero tutti hanno bisogno di un elemento esterno per sostentare un equilibrio interno. A cosa, poi, questa ricerca esterna serva, dipende dalla storia di ciascuno.”
Può la dipendenza affettiva sfociare in vero e proprio assoggettamento alla violenza domestica e sulla donna in generale?
“Sono argomenti molti ampi. Che la dipendenza si leghi all’aggressività è un luogo comune: il dipendente non distrugge l’oggetto, perchè ne ha bisogno e quindi difficilmente può, anche, farsi distruggere dall’oggetto perchè nel legame con esso si mantiene in vita. Quando si parla di violenza domestica – prosegue Pellegrini – la donna dipendente può, a costo di mantenere in vita il legame, farsi fare della violenza, ma il non riuscire a slegarsi da questa è un altro campo che si non si lega alla dipendenza affettiva in sè, quanto ad un’angoscia dalla separazione che non è possibile rielaborare. Anche in questo caso entriamo in un campo di non politicamente corretto, in quanto molto spesso si parla di quanto l’uomo faccia male alla donna, mentre molto poco si dice di quanto anche la donna sia violenta nei confronti dell’uomo. Quando ci troviamo in presenza di relazioni che hanno a che fare con un’aggressività subita, non siamo nel campo della dipendenza affettiva, ma in quello di una relazione con tratti sado-masochistici. La dipendenza affettiva in sè, invece, tende al mantenimento della relazione con l’oggetto, altrimenti il soggetto sentirebbe di morire. La persona dipendente può arrivare a tollerare cose violente, ma non perchè abbia dei tratti masochistici, ma perchè, talvolta, la dipendenza ha a che fare con l’angoscia da separazione che non viene tollerata.”
I recenti periodi pandemici con conseguente lockdown, possono aver acuito tale dipendenza?
“Anche questa domanda è assai ampia e per poter rispondere dobbiamo sviscerare cosa siano le relazioni oggi. Credo che non sia del tutto vero che il periodo di lockdown abbia acuito la patologia, perchè oggi le persone sono meno disposte a condividere del tempo assieme o a sentire che l’altro possa occupare il loro tempo ed il loro spazio. Quindi, a volte, è successo che, a causa del lockdown, le coppie si siano trovate a dover condividere maggiormente spazi e tempo e ciò ha provocato una rottura, perchè non siamo molto più in grado di tollerare la presenza dell’altro: molte coppie riescono oggi a stare assieme perchè vivono vite separate! Qui si entra in un campo che riguarda la cultura del nostro tempo, ovvero il mantenere uno spazio privato all’interno della coppia. Dall’altro lato, invece, è successo che alcune coppie si siano ritrovate a condividere molto tempo, pur avendo vissuto fino ad allora vite separate e si siano trovate molto bene. In queste coppie si è, però, verificata una tendenza alla separazione nel momento in cui si sono dovute riadattare alla realtà e uscire dal guscio domestico, dove la reintroduzione di un terzo elemento, le ha fatte scoppiare, non reggendo all’assenza del calore trovato in precedenza” – termina la Dottoressa Pellegrini.