19, Aprile, 2024

Battaglia legale per i terreni del depuratore. I proprietari chiedono al Comune un indennizzo di oltre 860mila euro: la querelle finisce in Corte d’Appello

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La querelle si trascina da oltre 30 anni: dal 1983 per la precisione. Ma ancora Comune e i proprietari dell’area dove è stato realizzato il depuratore non hanno trovato un accordo per l’indennità di esproprio. Sulla vicenda si sono già espressi Tar e Consiglio di Stato. I proprietari chiedono 503.440,89 euro che diventano 860.652 euro, con interessi e rivalutazione. Una richiesta giudicata sproporzionata dal Comune. E della querelle adesso se ne occuperà la Corte di Appello.

Tutto ha avuto un inizio nel 1983, e a trent'anni di distanza il braccio di ferro, tra il Comune di Figline e Incisa e i proprietari dei terreni dove è stato realizzato il depuratore comunale, prosegue.

Nel 1983 il Comune ha corrisposto un acconto sul definitivo prezzo di acquisto di 23milioni di lire per l’acquisto di aree destinate alla costruzione del depuratore, collaudato e poi entrato in funzione nel 1990. Un’era fa, ma ancora le parti in causa non hanno trovato un accordo per i terreni.
 
Anche perché “ nell’area in questione – viene sottolineato in una delibera del mese di aprile – insiste tuttora un impianto di depurazione al servizio comunale, e che l’opera assolve finalità di rilevante utilità per la collettività, che rendono impraticabile e contraria all’interesse generale l’ipotesi di una restituzione, peraltro mai richiesta dai proprietari”.
 
E così la querelle si è trascinata prima al Tar della Toscana, che “ha respinto il ricorso proposto dai privati per la condanna del Comune appellato al risarcimento dei danni da occupazione appropriativa, riconoscendo l’avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento”. Poi al Consiglio di Stato che, a seguito delle modifiche legislative in materia di occupazione appropriativa, ha negato “ogni trasferimento della proprietà per effetto dell’irreversibile trasformazione del bene illegittimamente appreso”.
 
Il Comune ad aprile ha deciso di acquisire al patrimonio indisponibile del Comune, subordinatamente al deposito presso la Cassa DDPP dell’indennità offerta e non accettata, i beni immobili. Prevedendo un conguaglio di euro 34.524,23 (complessivamente circa 72mila euro dai quali deve essere detratto l’acconto versato nel 1983). I privati hanno così deciso di opporsi nuovamente e di fare ricorso alla Corte d’Appello.
 
“Le parti – si legge in una delle ultime delibere firmate dall’ex commissario prefettizio Antonio Lucio Garufi – chiedono il riconoscimento di un indennizzo pari a € 503.440,89 (€ 860.652,87, comprensivo di interessi e rivalutazione)”. Un riconoscimento giudicato dal Comune “assolutamente spropositato e infondato”.
 
E così la battaglia legale, a 30 anni di distanza dall’inizio della vicenda, prosegue.
 

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