L’associazione di Poggio di Loro è pronta con il terzo libro, frutto del lavoro legato alle tradizioni e racconti della cultura locale e della montagna. In occasione dell’8 marzo, ecco alcuni estratti e il brano scritto in omaggio alle donne
L’Associazione Culturale Editoriale Elicriso di Poggio di Loro continua il lavoro legato alle tradizioni culturali e locali con un nuovo libro: “La buona compagnia è mezzo pane – I’ seccatoio dì biondo”. Le copie del libro sono in stampa e pronte per contribuire a mantenere vive le storie, i racconti e le filastrocche della cultura del territorio, grazie al lavoro di Danilo, Eli, Ezio, Mario, Massimiliano, Pierangela, Roberta, Simona e Marzio.
Per anticipare l’uscita dell’ultimo volume, l’Associazione, nata all’interno del Comitato di paese “Uniti per Poggio”, ci ha inviato alcuni estratti dalle loro tre opere, dedicati alle donne: “Per ricordare la festa del' 8 marzo con le storie delle donne dei nostri racconti, del loro ruolo fondamentale, cardini nella società contadina della metà del ‘900, come la tradizione orale ce li ha trasmessi”.
“Se riuscissimo a soffermarci e riflettere sulla giornata dell’8 marzo, capiremmo anche solo da frammenti di ricordi, che onorare questa data ci rende più liberi, più giusti, più umani, più figli di mamme, Donne attraverso i secoli” – introduce Massimiliano – “Il mondo rurale ci rammenta di donne dimesse, con in dosso abiti semplici ed a volte lisi. Donne avvezze alla fatica e con l’onore della povertà negli occhi. Donne che con lo stesso moto taciturno ma inflessibile delle maree, hanno condotto fino a noi,nuovi uomini e nuove donne, con la consapevolezza fiera delle proprie origini.
Questa è il giorno dei ricordi e dei progetti per un’Umanità Donna senza paura e con la forza che distingue ogni donna di ieri, oggi e domani”.
“La nostra cultura ci insegna di donne famiglia che possono apparire sfruttate, ma che tra le mura domestiche dettavano i battiti dei cuori, i ritmi diurni e notturni, la fortuna o sfortuna economica, le necessità familiari. Donne che hanno dovuto accrescere il loro ingegno per incanalare le decisioni dell’ “uomo”, fino a convincerlo di essere egli stesso l’artefice delle proprie azioni quotidiane”, prosegue l’estratto.
“La battitura”
Le massaie si riunirono in cucina per decidere il pranzo della battitura. Non poteva essere un semplice pranzo, molti erano gli uomini da mettere a tavola, e quantità e qualità delle vivande dovevano essere all'altezza della festa.
Era la festa a “i' locio”, piatto forte che veniva servito a tutte le battiture assieme ai soliti “coniglioli” e polli, allevati e consumati tutto l'anno. Nunzia e Bruna, nel pollaio, rincorrevano i polli e i' locio, che fuggivano da tutte le parti sollevando un gran polverone. A Elvira, la più giovane, toccò di andare a bottega, mentre le altre donne dettero inizio ai lavori in cucina.
“Sabato si fa i’ pane”
Il forno ne poteva contenere quaranta e spesso gli impasti superavano la quantità che era stata pattuita nei giorni prima. Ogni settimana era una mezza guerra, risolta sempre con la fermezza di Argenta che riusciva a sistemare bene il forno e a gestire i pani in più. Il pane si faceva una volta alla settimana e doveva bastare per tutta la famiglia. Da sempre l’infornata era concordata fra le donne, in modo che il forno venisse riempito e il calore non andasse sprecato: tutto era prezioso, anche la legna per riscaldarlo. La legna veniva accuratamente accatastata in barche comuni, alle quali ogni famiglia partecipava con la propria parte. Dopo le faccende consuete, le massaie iniziavano ad aprire le vecchie madie di legno, che erano uno dei cuori della casa, e mettevano a mollo nel pentolo di terracotta, in acqua calda, la lievita della settimana precedente in modo che riprendesse forza. Giungeva il momento di unire la farina e di impastare bene il tutto. Infine, con le mani precocemente invecchiate dai tanti lavori, raccoglievano una manciata di farina e ricoprivano quell’impasto con una bella spolverata. “ Ti ringrazio o mi’ Signore per il pane che ci vorrai dare.” e con una preghiera iniziava la nottata della lievitazione. Il sabato mattina era ancora buio quando le donne vestivano i panni delle fornaie, iniziavano a lavorare per impastare i pani e tutta la famiglia partecipava all’evento. Il momento dell’impasto era importante per tutta la casa e la massaia lo sapeva bene: arrotolava su le maniche della camicia di cotone fin sopra il gomito, indossava un grembiule pulito, raccoglieva meglio che poteva i capelli e li copriva con la pezzola.
Iniziava così ad unire la farina al lievito e all’acqua mescolando bene il tutto per dare la giusta consistenza all’impasto, lavorava di buona lena, con forza anche inaspettata, ma spesso doveva combattere con i bambini che mettevano le mani nella pasta poiché volevano partecipare, attratti da quella “lavoriera”.
“O’ Guidino, va’ via! Te l’avrò detto cento volte che quando fo i’ pane tu devi sta’ fermo!” e giù uno scapaccione che formava una leggera nuvola di farina nell’aria. Continuava ad impastare, ad allontanare il ciuffo che immancabilmente calava giù sulla fronte e che non faceva vedere bene, a consolare i più piccini che piangevano, attaccati al grembiule, a bocca aperta e con il moccico al naso.
“Il bucato”
Nando, di ritorno dai campi, con la cavezza in mano della propria ciuca, cotto un po’ dal sole estivo e dalla stanchezza, arrivato in prossimità della Porta di Poggio, vide un gruppetto di donne che parlava animatamente. . Tra loro anche Viola, sua moglie, che con il tipico gesticolare spiegava alle altre qualcosa. Lui sapeva che quando vedeva capannelli di donne, questi volevano sempre dire lavoro in più per gli uomini del borgo. Per tutta la sera, durante e dopo cena, Viola non fece altro che rammentare le camicie che ormai erano sporche,le tovaglie macchiate del vino che, lui aveva rovesciato, le lenzuola sudice che ormai non sapeva dove riporre.Nando, accomodatosi seduto vicino al camino spento , più per sfinimento che altro, si fece scappare le parole che Viola aspettava ormai da ore:“oh mettiamoci d’accordo con gli altri e fissiamo i bucato! Che ci vole tanto! Sta a vedere che pe’ lavare du’ panni ci vole i permesso di Vescovo!”Gli occhi chiari di Viola si illuminarono ed un sorriso furbetto racchiuso agli angoli della bocca, da delle specie di virgolette, sottolinearono che l’aveva vinta. L’indomani mattina di buon ora, ogni uomo del borgo “aveva deciso” che era il giorno buono per il bucato e iniziarono ad attrezzare i seccatoi ormai sgombri dalle castagne, con il necessario. Tutto era pronto e mentre il gruppetto di amici, gli uomini avanti e le donne dietro, ritornavano verso le case, Nando, Silvano, ed Italo parlottavano fra loro ed orgogliosamente, si prendevano il merito dell’iniziativa.“ Ieri sera l’ho detto anch’io alla mi’ Viola, organizziamo i’ bucato domani, che di lavori grossi nei campi non ce ne sono!” disse Nando mentre Silvano con le mani nelle tasche dei pantaloni, che sembrava guidassero le sue gambe dinoccolate, annuiva con la testa che seguiva la sua andatura; Italo: “Oh io, uguale! La mi moglie, quando gliel’ ho detto l’è quasi cascata dalle nuvole!”Intanto le donne pochi passi indietro, nel silenzio tipico del complotto, si scambiavano sorrisetti complici e Viola incassava consensi dagli sguardi delle altre amiche. Verso sera, sulla strada del ritorno a Poggio, gli uomini commentavano la giornata: “ Certo che s’è avuto una bella pensata a fare il bucato in questi giorni. Se t’aspetti che si decidano le donne e l’è finita” disse Silvano. Berta, poco avanti con le amiche: “Menomale che ci siete voi omini, se no, noi “povere” donne un si camperebbe!”