La transumanza, fenomeno antico e praticato in tutta Italia fin dagli albori, è esistita nelle e dalle nostre montagne fino allo scorso secolo. Alcuni racconti, in particolare quello di Raffaella Simonti, nel libro “Lontano un secolo”, spiegano come questa attività sia stata per lungo tempo necessario per i pastori del Pratomagno.
Con il termine transumanza si intende la migrazione stagionale delle greggi delle mandrie e dei pastori che in inverno si spostano verso zone pianeggianti; per tornare poi in collina o in pianura durante la stagione estiva. Anche la sua etimologia racconta la natura del fenomeno: fondendo insieme il concetto di attraversamento (Trans) con quello di terra, suolo (humus). La transumanza del Pratomagno è stata una questione di necessità fino al secolo scorso. Lo racconta il libro di Raffaella Simonti, “Lontano un secolo”, frutto del Progetto Memoria.
“Se in Pratomagno si voleva vivere, non restava che andare a parare le pecore. Con le castagne si campava, ma bisognava comprare anche le scarpe. Cosi gli uomini della montagna tra l’inizio di settembre e la metà di ottobre partivano. Partivano con le loro greggi per la Val di Chiana, per il Chianti e per la profonda Maremma. Stavano fuori otto, nove mesi. Un tempo giusto per scordare un mondo e impararne un altro. Parare le pecore non era solo un mestiere, ma una maniera di vivere. Significava stare con le pecore sempre, tutti i giorni dell’anno, la mattina, la sera, la notte. Altre cose potevano entrarci, ma di soppiatto.”
Nel ‘900 c’era una sola famiglia che poteva permettersi di delegare il lavoro, la famiglia Tassi.” Nel versante del Pratomagno che guarda l’Arno, solo la famiglia dei Tassi poteva permettersi di non seguire le greggi e affidarle a garzoni e vergai. Anche se erano pastori, per molti trappolini erano poco più di un nome. Mancavano di rapporto con la gente. Avevano una casa a sé stante nel quartiere della Villa, stavano alla Trappola d’estate, poi si dividevano tra Firenze e Magliano in Maremma, loro terra di provenienza. Avevano sempre un familiare nel Consiglio del Comune, davano lavoro a tanta gente, ma per gli abitanti del luogo erano poco più di un’idea.”
In Pratomagno si viveva con le regole dell’agricoltura e della pastorizia. Tutte le famiglie erano proprietarie di pecore e capre che garantissero almeno il fabbisogno e nella maggior parte dei casi, il bestiame viveva sotto lo stesso tetto dei proprietari – Ma vita del vero pastore era regolata dalla transumanza: da settembre a giugno in maremma, nel restante periodo dell’anno sui crinali del Pratomagno. La gestione di un gregge non nera facile da imparare; infatti molti pastori “ereditavano il mestiere” e fin da piccoli cominciavano a convivere con le pecore.
Ogni località decideva per sé ma a Chiassaia e Anciolina era abitudine partire più tardi degli altri: alla fine di settembre o addirittura ai primi di ottobre. Le abitudini si radicavano con la forza della legge, ma poi erano la stagione e lo stato delle pecore a dire l’ultima parola. Sebbene i pastori fossero liberi di scegliere il percorso in base alla loro meta, le strade erano abbastanza obbligate: se andavano a Grosseto, scendevano dalla montagna attraverso le vie comunali, poi dalla Colombaia alla Penna. Continuavano lungo il Ciuffenna fin quasi all’incrocio con l’Arno. Attraversavano Montevarchi, poi andavano diretti fino a Moncioni. Lungo la Chiantigiana fino a Gaiole, Siena, Rosia, Monticiano, Roccastrada, infine Grosseto e alla fattoria concordata. Il viaggio era lungo e grandi le difficoltà. Chi si fermava in Chianti o in val di Chiana aveva solo un paio di giornate di cammino, ma per gli altri erano sempre otto giorni. La primavera si faceva sentire presto in Maremma: a fine marzo si concludevano le vendite e le contrattazioni per ripartire alla volta del Pratomagno. Il ritorno, che durava ugualmente otto giorni, era più duro dell’andata.
Al giorno d’oggi la transumanza viene praticata solo in pochissime zone d’Italia e maniera molto ridotta. L’avvento di nuove tecnologie e tecniche di allevamento hanno fatto in modo che non fosse più un fatto di necessità.