Se ne è parlato a Matassino, in una serata organizzata dal Presidio di Libera “Giovanni Spampinato”. Presentato nell’occasione il docufilm “The Harvest”, che racconta lo sfruttamento della comunità Sikh nell’Agro Pontino. Presente il responsabile della Flai Cgil: “La Toscana non è immune”. E anche il comune di Figline e Incisa sostiene il progetto di informazione, promuovendolo all’interno dell’istituto Vasari
Sono passati pochi mesi, dall’inchiesta sul caporalato in agricoltura partita da Prato e arrivata fino a Figline. Nell’azienda agricola di Sting, risultato estraneo alla vicenda, la società che gestiva i terreni aveva appaltato le lavorazioni aprendo le porte all’utilizzo di manodopera clandestina, sottopagata, sfruttata, impiegata in nero. Uno squarcio sul sistema agricolo toscano, locale: perché finora il caporalato era sembrato forse un fenomeno lontano. E invece no, è presente, in forme spesso strutturate e complesse.
Se ne è discusso in una interessante occasione di approfondimento organizzata dal Presidio di Libera “Giovanni Spampinato” e da Libera Valdarno a Matassino: presentato il progetto "The Harvest – storie di nuovo caporalato agricolo in Italia": un docufilm in fase di produzione sulla vita delle comunità Sikh che risiedono stabilmente nella zona dell’Agro Pontino, alla presenza del regista Andrea Paco Mariani, di Gianluca Giussani della Flai Cgil Toscana e Andrea Bigalli, referente regionale di Libera Toscana.
A tracciare il quadro del fenomeno sul territorio regionale e anche sul Valdarno, è stato Giussani, responsabile di Flai Cgil Toscana. “Il fenomeno del caporalato, che poi è sfruttamento della manodopera in agricoltura in questo caso, nel territorio toscano si declina attraverso gli appalti, le esternalizzazioni: le aziende agricole esternalizzano le lavorazioni. Un fenomeno meno sfacciato che in altre regioni di Italia, più strutturato, ma non per questo meno pericoloso, e anzi più difficile da colpire. Attraverso queste aziende prestatrici di servizi si appalta anche il lavoro ‘sporco’: in realtà, nei fenomeni di sfruttamento che abbiamo osservato in alcune aziende, l’appalto è figurativo, in realtà si tratta di una intermediazione. Si appaltano le responsabilità, civili e penali, a società con prestanome magari extracomunitari. Il proprietario dell’azienda pensa così di sgravarsi di responsabilità che invece, è bene sottolineare, ha comunque”.
Un universo di casi diversi, quelli registrati in Toscana. “Spesso si tratta di lavoratori che operano a nero, in altri casi abbiamo riscontrato fenomeni di lavoro ‘grigio’, per cui il contratto conta molte meno ore di quelle effettivamente lavorate. Il fenomeno comunque esiste e si sta allargando a macchia d’olio. E il caporalato, il lavoro nero, incide in reputazione, in qualità della lavorazione, nell’abbassamento della competizione sul livello dello sfruttamento pur di stare sul mercato, abbassando i costi sulla pelle dei lavoratori. Il limite dell’agricoltura in Toscana è dato dal fatto che vede al lavoro, per la maggior parte, una serie di piccole e micro imprese che non riescono ad ambire da sole al mercato internazionale, che sono alla mercé della distribuzione, e questo crea un meccanismo perverso che fa abbassare sempre più l’asticella. La soluzione che auspichiamo? Che le aziende facciano sistema, che si consorzino, che facciano rete di impresa. Solo così possono ambire a mercati più ampi e quindi di conseguenza alzare il livello”.
Nell’Agro Pontino, nei campi lavorano quasi esclusivamente membri della locale comunità Sikh. Arrivano in Italia pagando fino a 15mila euro, per un pacchetto che comprende viaggio, inserimento in zona, contratto di lavoro che consente di avere il permesso di soggiorno. Ma la realtà con cui si confrontano questi lavoratori è durissima, fin da subito: nei campi fino a 16 ore al giorno, costretti a ricorrere a droghe pur di reggere i ritmi. A raccontare le loro storie è il docufilm “The Harvest”, presentato dal registra Andrea Paco Mariani (qui sotto una clip da youtube).
“Avevamo lavorato in passato ad altri documentari sul lavoro, e così abbiamo scoperto questo fenomeno nell’Agro Pontino – spiega il regista – qui lo sfruttamento della manodopera riguarda in particolar modo la comunità Sikh, ed è collegato a quello che è stato poi chiamato ‘doping tra i lavoratori’: metanfetamine e oppio per sopravvivere a ritmi stremanti di lavoro. Abbiamo intercettato comunità del posto e cercato di capire di più. Dopo la quinta, sesta testimonianza con lo stesso contenuto è stato chiaro per noi quale fosse la situazione. Molti di questi lavoratori sono costretti ad accettare condizioni di lavoro inumane perché il lavoro vincola al permesso di soggiorno, a tal punto che non solo sei disposto a lavorare 14, 16 ore al giorno con 2 o 3 euro l’ora, ma trovi anche modi in maniera indotta per riuscire a reggere questi ritmi”.
Raccogliere le testimonianza non è stato semplice. “Abbiamo lavorato per creare un meccanismo di empatia e fiducia per parlare con la comunità Sikh della zona, e non è stato facile per loro affrontare questo tema. Ma la comunità si è dimostrata molto aperta al dialogo. Ci siamo appoggiati ad alcune associazioni del territorio che lavorano su questo tema, grazie anche al lavoro di Marco Mizzolo che è una figura di riferimento dell’Agro Pontino su queste questioni”. Quale può essere il modo di affrontare il fenomeno? “Cioè che sta succedendo – conclude Andrea Paco Mariani – è figlio di 15-20 anni che hanno aperto coni d’ombra sul mercato del lavoro: vanno risolti. Queste persone che abbiamo intervistato non lavorano in nero, ma hanno tutte dei contratti. È una brutalità in un sistema normalizzato, e su questo bisogna intervenire”.
Presente alla serata anche Mattia Chiosi, assessore del comune di Figline e Incisa, che ha portato ‘The Harvest’ e il tema del caporalato anche a scuola, all’interno dell’Istituto superiore Vasari. “Abbiamo sostenuto un percorso con gli studenti del Vasari, perché pensiamo che sia una tematica nuova nel nostro territorio, poco conosciuta per certi versi. Al Vasari la presenza dell’indirizzo tecnico agrario è stata occasione per affrontare proprio con questi studenti, che saranno i tecnici e i periti agricoli di domani, il tema della legalità in agricoltura. Insieme a Libera e Flai Cgil abbiamo deciso di sostenere il progetto del documentario The Harvest perché pensiamo che sia importante alzare l’attenzione su questo fenomeno, e sul tipo di caporalato che si sta sviluppando in particolare sul territorio toscano, fatto di subappalti e scatole cinesi, sfruttamento di manodopera straniera con fragilità sociali. Questa dunque l’occasione di iniziare a informare ed essere più consapevoli”.