26, Aprile, 2024

In fuga dall’Africa, fra violenze e speranze: le storie dei migranti ospitati a San Marco. “Qui l’accoglienza è percorso di inserimento culturale”

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Insieme a Don Claudio Brandi della Collegiata di San Lorenzo abbiamo visitato il Centro di San Marco, che da dieci giorni accoglie 24 profughi in fuga da quattro diversi Paesi dell’Africa Subsahariana. Tra corsi d’italiano e regole da rispettare, ecco come aspettano la risposta alla loro richiesta d’asilo

Ahmed ha 25 anni, e ha passato gli ultimi tre della sua vita a scappare dalla guerra, a cercare di raggiungere l’Europa. “Vengo dalla Costa d’Avorio”, racconta in francese. “Nella città di Abidjan avevo un piccolo ristorante, ero un cuoco, e possedevo un negozietto. Nel 2012 scoppiò la guerra civile: i manifestanti devastarono tutto, compreso il mio ristorante. Restai senza un lavoro, senza nulla. Decisi di partire per cercare di raggiungere l’Europa”. E comincia l’odissea, un viaggio finito a Montevarchi.
 
Ahmed lo ricorda con lucidità. “Ero da solo, lasciai la mia famiglia”. Prima tappa, il Mali. Poi la Mauritania, e finalmente il Marocco. “Lì mi sono fermato un po’ di tempo, perché speravo di andare in Spagna. Ho lavorato, ma era dura, perché c’è molto razzismo e sfruttamento nei confronti nostri. Poi ho conosciuto persone che per cercare di arrivare in Europa avevano perso braccia e gambe. Ho avuto paura, e sono andato in Algeria”. Qui conosce una persona che lo convince ad andare il Libia: è l’inizio del periodo più difficile. “Questa persona mi ha convinto, mi sono fidato. Ma poi mi ha venduto ai miliziani, che hanno strappato i miei documenti e mi hanno chiuso in una prigione. Mi dicevano di chiamare la mia famiglia perché pagasse. Ogni giorno vedevo uccidere persone, pensavo che sarebbe toccato anche a me”.
 
Lui alla fine ce l’ha fatta a fuggire da quella prigione, guadagnando la fiducia di una guardia grazie alle sue abilità di cuoco. Ed è stato fortunato: pochi giorni dopo ha raggiunto la costa della Libia, dove un gruppo in fuga su un barcone l’ha aiutato a salire senza pagare. Non sa quanto sia durato il viaggio, vissuto praticamente in stato di semi incoscienza. “Mi sono svegliato ed eravamo sulla terra, mi avevano dato da bere. Ho chiesto dove eravamo, mi dicevano Lampedusa. Non sapevo dove fosse. Quando mi hanno detto Italia, ho ringraziato il cielo”. Sbarcato il 22 luglio, è salito su un pullman, insieme ad un altro gruppo di profughi in fuga dall’Africa Subsahariana.

Destinazione Montevarchi, Poggio San Marco, dove la Collegiata di San Lorenzo ha messo a disposizione una cascina per accoglierli. Oggi sono 24, hanno tutti fra i 18 e i 30 anni, e alle spalle storie simili a quella di Ahmed. Provengono da Senegal, Gambia, Mali, Costa d'Avorio. Paesi segnati da guerre civili, dittature militari, terrorismo. Qualcuno di loro ha impiegato anche cinque anni, qualcun altro ha subito violenze che non racconta volentieri.


 
“Hanno fatto tutti richiesta di asilo politico – spiega Don Claudio Brandi, che viene a trovarli ogni giorno – aspetteranno sei mesi prima di una risposta”. Se lo otterranno, molti di loro proseguiranno per altre mete europee. Altri cercano solo un lavoro, come Ahmed, che vorrebbe fare il cuoco. A San Marco l’accoglienza è un percorso culturale, pensato per dare loro una prospettiva, un’occasione come la definisce Don Claudio. “Hanno sei mesi di tempo per studiare, dimostrare che vogliono davvero vivere qui, rispettando le leggi e in modo civile. Li ho visti impegnarsi, sono fiducioso”. Ogni mattina vengono divisi in due gruppi per le lezioni di italiano, curate da una insegnante di Montevarchi: per metà di loro, che nel paese d’origine non erano mai andati a scuola, si parte dalle basi.
 
E poi ci sono le regole da rispettare: sveglia la mattina presto, rifare il letto, pulizie. Niente alcol, anche se la fede musulmana lo vieta comunque. E rispetto per gli altri e per gli ambienti in cui sono ospitati. A questo si aggiungono le pratiche burocratiche in Prefettura e le visite e i controlli medici. A seguirli, un gruppo di operatori. “Stiamo con loro 24 ore su 24 – spiega Charles, che vive in Italia da anni e fa anche da interprete – anche perché in queste prime fasi le difficoltà maggiori sono legate alla lingua. Per il momento non si spostano da soli, li accompagniamo dove c’è bisogno di andare. Seguono volentieri i corsi di italiano, cercano di imparare. L’obiettivo è fare in modo che, se otterranno l’asilo politico o un visto lavorativo, siano in grado di vivere e trovarsi un lavoro”.
 
Che la questione dell’accoglienza sia delicata, è chiaro anche agli operatori. “Ci sono persone che vengono quassù a portare vestiti e cibo – racconta Charles – che ci hanno dato una mano in questi primi giorni. Ma so che ci sono persone che non vedono di buon occhio tutto questo. Purtroppo è anche la politica che sfrutta queste situazioni di disperazione e trasmette messaggi distorti. Io penso che l’Europa sarebbe dovuta intervenire prima, direttamente in Africa, per prevenire tutto questo. In Libia, in particolare, dove la tratta di esseri umani è diventata fonte di ricchezza per i miliziani. Non smetteranno mai, e chi ne paga le conseguenze sono queste persone in fuga, spesso picchiate, maltrattate, seviziate se non uccise. Senza contare i morti per strada, le migliaia di persone che non superano l’attraversata del deserto a piedi, e quelli che finiscono la loro vita nel Mediterraneo”.


 
I numeri dell’accoglienza in Valdarno aretino, secondo i dati della Prefettura (che gestisce i bandi per l'accoglienza, aperti a associazioni, cooperative, consorzi. Questi enti vengono poi ripagati con i fondi europei stanziati, i 'famosi' 35 euro al giorno: di questi, al migrante vengono assegnati dei 'buoni' da 2,50 euro al giorno a testa, non in denaro, spendibili per necessità particolari, dal trasporto pubblico fino alle schede telefoniche, le sigarette e così via).

A Montevarchi i 24 ragazzi ospitati a San Marco dalla Collegiata chiudono le disponibilità della Parrocchia. “Ospitarne di più sarebbe impossibile”, spiega Don Claudio.
Sempre a Montevarchi, in un appartamento di via Bellini, sono ospitati 6 migranti a cura dell’Associazione “L’isola che non c’è”, che si occupa dell’accoglienza in tutta la provincia di Arezzo.
La stessa Associazione ha in gestione un altro stabile in via Tani a San Giovanni, dove si trovano 6 migranti.
A Castiglion Fibocchi sono presenti 4 profughi gestiti dalla Fraternita dei Laici e altri 7 dalla Cooperativa Oxfam. La stessa associazione si occuperà anche dei 7/8 migranti destinati a Laterina, che però al momento non sono ancora arrivati.
Ad oggi, dunque, in Valdarno aretino (compreso Castiglion Fibocchi) sono 47 i migranti accolti, a fronte di un tetto massimo fissato dalla Prefettura pari a 318. 

Ha collaborato Federica Crini

Glenda Venturini
Glenda Venturini
Capo redattore

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