I nostri giorni sono sempre più permeati dalla presenza di nuovi mezzi di informazione e comunicazione: Facebook, Instagram, WhatsApp sono preziosi alleati nel lavoro e nelle relazioni, ma spesso rischiano di creare dipendenza e, sicuramente, quando questi si fermano, il mondo rimane a sua volta in panne!
Il recente e prolungato blocco dei social networks (Facebook, Instagram e WhatsApp) ha, quanto mai, ribadito la forte presenza di questi mezzi nella vita di tutti noi, adulti e adolescenti. Tali mezzi di informazione sono divenuti essenziali, non solo nell’ambito delle pubbliche relazioni private, ma anche nell’ambito più strettamente lavorativo e di pubblico interesse. Vogliamo approfondire il perchè di tutto ciò?
“I social networks hanno assunto centralità nella nostra vita quotidiana e questo perché rappresentano uno strumento immediato di connessione. Per consultarli è sufficiente estrarre il telefono dalla tasca, scorrere con le dita ed ottenere, in tal modo, un gran numero di informazioni – queste le parole del Dott. Luca Raffini, Ricercatore in sociologia dei fenomeni politici presso l’Università di Genova – Nel linguaggio degli studi di comunicazione, abbiamo una compresenza e una sovrapposizione tra la comunicazione pubblica e quella interpersonale. Aprire la pagina di un social permette, con un solo gesto, di compiere una serie di azioni che un tempo avrebbero richiesto tempi più lunghi e maggior attenzione. Utilizzando i social, riusciamo a comunicare con gli amici, consultando le chat di WhatsApp parliamo con i colleghi di lavoro, con i genitori o vediamo dove sono i nostri amici e cosa hanno mangiato a pranzo, troviamo meme e video che catturano la nostra attenzione e che possiamo consumare in maniera rapida. È per noi normale ricevere messaggi da colleghi di lavoro e clienti, a cui rispondiamo a ogni ora. Insomma, i Social Networks sono il canale da cui passa, in maniera molto rapida, tutto ciò che prima atteneva a mondi diversi: il quotidiano sfogliato la mattina e il telegiornale all’ora di cena, le telefonate con gli amici, lo zapping televisivo la sera, la visualizzazione delle foto delle vacanze, le interazioni lavorative. Tutto ciò nel contesto di un overload informativo e comunicativo, che ci spinge a cercare sempre più connessioni, che sono però al tempo stesso assolutamente superficiali: la notizia letta senza molta attenzione, le centinaia di immagini di amici e conoscenti, che in fondo non ci interessano più di tanto, le infinite mail e messaggi WhatsApp, la maggior parte delle quali superflue o ridondanti, ma che siamo abituati ad avere come sfondo, se non come palcoscenico principale della nostra esperienza quotidiana, privata e pubblica. Compulsare i social è un po’ un piacere, un po’ un’abitudine, un po’ un dovere. L’improvvisa assenza di questi canali ci fa percepire come disconnessi dal mondo e ci mette ansia, perché percepiamo di non sapere più cosa avviene attorno a noi.
Veniamo, invece, ad un tema molto più complesso, ovvero la dipendenza patologica da social. Un fenomeno in forte crescita e che è diventata una vera e propria malattia, non solo fra i giovani, ma anche fra i meno giovani.
“In realtà il fenomeno si osserva molto anche tra i meno giovani, che non hanno utilizzato questi strumenti sin dall’infanzia, ma abbastanza da diventarne utilizzatori compulsivi. Mi vengono in mente, ad esempio, immagini di alcuni leader politici, sorpresi mentre consultano il loro smartphone, magari mentre sono sul palco di un importantissimo evento internazionale o durante un talk show televisivo- prosegue il Dott. Raffini – Questa domanda è molto importante, perché sposta l’attenzione da una dinamica di dipendenza funzionale (sono dipendente dai social, perché tutto passa da lì) ad una dinamica di dipendenza psicologica, la quale trova spiegazione, innanzitutto, nella struttura stessa dei social e nella modalità di fruizione. Mi spiego meglio: “swippare” su un social, ovvero scorrere con il dito per fare apparire nuovi contenuti, alimenta la voglia (il bisogno) di entrare in contatto con contenuti sempre nuovi che, abbiamo detto, sono di facile fruizione, ma al tempo stesso diversi tra loro. Contenuto dopo contenuto, siamo portati a scorrere ancora il dito, per vedere cosa ci sarà dopo e così per ore! Si tratta di un gesto che assomiglia, per alcuni aspetti, allo zapping televisivo, con la differenza che, dopo un po’, lo zapping stanca, perché i canali sono finiti, mentre con i social no, ogni volta che li chiudiamo sappiamo che ci perderemo dei contenuti. Ed ecco che entriamo in un ambito di studio della psicologia, più che della sociologia. Gli psicologi sostengono, difatti, che la compulsione da social abbia tratti in comune con altre forme di dipendenza: dal gioco, innanzitutto. Ma anche dal cibo, dalla nicotina, ecc. Ogni swip provoca una sensazione di piacere, che si associa al rilascio di dopamina. L’overload comunicativo innalza la soglia di appagamento, spingendoci a cercare ancora più contenuti per cercare soddisfazione, ma, in tal modo, subiamo una desensibilizzazione e la curiosità si trasforma in dipendenza. Gli studiosi hanno riscontrato questo tipo di dinamica anche in relazione all’utilizzo di contenuti porno: la facilità di accedere a contenuti di vario tipo, ad alta definizione, porta ad innalzare la soglia di appagamento e a cercare sempre nuovi stimoli, al punto che, chi finisce in questo moderno tipo di dipendenza, non trova più interesse nei rapporti reali. I giovani sono maggiormente esposti alla dipendenza da social perché questo tipo di dinamica prende forma già da piccolissimi, quando il cartone animato visto in tv o la visione di una videocassetta per l’ennesima volta, è sostituita dalla frenetica ricerca di nuovi contenuti su Youtube”.
Infine, è di questi giorni la notizia del dilagare dei nuovi modelli di gioco che gli adolescenti, emulando la serie tv sudcoreana Squid Game (vietata peraltro ai minori di anni 14), mettono in pratica utilizzando meccanismi di violenza ed eliminazione fisica dei partecipanti. Che fenomeno sociologico si sta delineando?
“Questo aspetto, tutto sommato, mi allarma meno di quello di cui abbiamo parlato fino ad ora. Questo non significa che non debba destare preoccupazione e attenzione: l’emulazione è sempre esistita, o meglio, è sempre esistita da quando esiste una cultura di massa. Si pensi all’uso delle droghe pesanti o ad alcuni comportamenti rischiosi, per esempio, sulle strade – spiega il Dott. Raffini – Anche in questo caso, la comunicazione digitale ed in generale la globalizzazione dei consumi, amplifica e tende a radicalizzare il fenomeno, generando, nel giro di pochi giorni, una serie di fenomeni emulativi, su scala mondiale, in questo caso a partire da una serie tv. Questa rapidità nella diffusione e gli effetti che ne conseguono destano preoccupazione. Però, l’estrema volatilità dei fenomeni, che su altri piani è un aspetto negativo, in merito a questi comportamenti ci viene in aiuto. Qualche anno fa la moda della caccia reale ai pokemon virtuali aveva generato non poche preoccupazioni per i comportamenti a rischio che generava o addirittura per il rischio che il gioco venisse utilizzato da alcuni adulti per adescare minorenni. La moda è passata e, con questa, le preoccupazioni. Su questo aspetto, quindi, è sicuramente necessario mantenere viva l’attenzione da parte delle famiglie e delle scuole e lavorare sulla formazione, ma, tutto sommato, si tratta di fenomeni più conosciuti, e non direttamente associabili ai nuovi media.