24, Novembre, 2024

Serristori, il Calcit accusa: “Dopo la chiusura del Pronto soccorso, ora l’attacco a oncoematologia”

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Al Serristori di Figline sarebbe partito anche il depotenziamento del reparto di oncoematologia, una eccellenza grazie all’opera che fu del dottor Varesco Martini: l’accusa arriva direttamente da Mario Bonaccini, presidente del Calcit del Valdarno Firoentino. “Lo schema per arrivare alla chiusura è sempre lo stesso: la prima mossa è quella di depotenziare un reparto con la scusa di ottimizzare il lavoro, poi il passaggio successivo è quello di chiudere il medesimo reparto, sostenendo che ormai non ha più i numeri per rimanere aperto”.

“La politica del carciofo che prevede di togliere una foglia per volta, viene applicata metodicamente al Serristori da oltre vent’anni – ricorda Bonaccini – L’ultima volta questa tecnica è stata messa in atto per chiudere il Pronto Soccorso: prima lo si è depotenziato ordinando alle ambulanze del 118 di non portarci più i pazienti durante la notte; poi è stato dimezzato l’orario di apertura del Pronto Soccorso e, infine, con la scusa del Covid si sono portati via i medici anestesisti/rianimatori e anche i posti letto della sub intensiva, determinando di fatto l’impossibilità operativa di una struttura di emergenza urgenza. Ovviamente la politica del carciofo prevede che durante la ‘sfogliatura’ dei vari reparti dell’ospedale, la popolazione debba essere rassicurata offrendo ampie garanzie sul fatto che poi tutto tornerà come prima”.

“Invece le promesse non vengono mantenute – accusa ancora Bonaccini – così anche il Pronto soccorso non è stato riaperto, i medici anestesisti/rianimatori non sono tornati e sono rimasti a Firenze tutti i letti di sub-intensiva. In questo modo la tecnica del carciofo può proseguire instancabile nell’opera di indebolimento di un ospedale storico, che già trent’anni fa si voleva chiudere. E questa volta nel mirino c’è finito addirittura il fiore all’occhiello del Serristori, creato dal compianto dottor Varesco Martini: l’oncoematologia. Purtroppo i segnali che ci arrivano in questi giorni sono davvero preoccupanti”.

“Senza neanche preoccuparsi di avvisare il Calcit, che grazie alle donazioni dei cittadini del Valdarno fiorentino sostiene economicamente il D.H. oncoematologico – spiega il presidente – sono state prese decisioni allarmanti, che tra l’altro abbiamo scoperto casualmente: in primo luogo, approfittando del fatto che ancora non sono stati riportati a Figline i letti di sub intensiva, si è pensato di dirottare sull’ospedale di Scandicci una quota di pazienti ematologici del Valdarno, che in caso di bisogno troverebbero al Torregalli l’ausilio di quei medici rianimatori, purtroppo ancora assenti a Figline. È facile per tutti immaginare a quali problemi andranno incontro i suddetti pazienti che dovranno tornare a casa, da Scandicci, dopo essersi sottoposti ad una pesante dose di trattamento terapico, senza contare le maggiori spese di trasporto per dare seguito alle cure. Oltretutto, se accompagnati da un familiare o da altri, questi dovranno abbandonare le loro abituali attività, se non il lavoro, per seguire il loro familiare nel trasferimento fino a Scandicci”.

“La seconda notizia inquietante per il futuro della nostra Oncoematologia – aggiunge Bonaccini – riguarda la decisione presa dall’Azienda sanitaria di spostare all’OSMA uno dei punti di forza del Day Hospital di Oncoematologia del Serristori, ovvero la responsabile medico ematologa, la dottoressa Melania Rocco, che tra l’altro abita anche a Figline, la quale dal mese di settembre 2023, secondo le intenzioni dell’Azienda sanitaria, dovrebbe spostarsi all’OSMA per 4 giorni a settimana, riservando al nostro D.H. solo il tempo residuo. Oltre a ciò, erano state date anche indicazioni, che al momento sembrano rientrate, affinché al D.H. Oncoematologico del Serristori non venissero più accolti i pazienti provenienti al di fuori del Valdarno fiorentino. Un provvedimento che, tra l’altro, andava a ledere il diritto costituzionale di curarsi dove uno meglio crede. Senza tener conto che i pazienti del Valdarno aretino, sarebbero dovuti andare a curarsi ad Arezzo visto che il loro ospedale di riferimento, Santa Maria alla Gruccia, non ha un reparto di ematologia”.

A questo punto il Calcit Valdarno Fiorentino è già pronto a dare battaglia per contrastare tutte le decisioni che mettono a rischio l’oncoematologia del Serristori: “Il Consiglio direttivo della nostra associazione si è riunito urgentemente e all’unanimità ha deciso di avviare una serie di azioni di contrasto a queste misure penalizzanti – spiega il presidente Bonaccini – abbiamo già avvisato politici e amministratori della lotta che intendiamo portare avanti. Ovviamente, delle consuete risposte tranquillizzanti che ci arrivano non sappiamo che farcene, visto che nella storia recente del Serristori non esiste nemmeno una promessa che sia stata mantenuta, a cominciare da quei Patti Territoriali sottoscritti nel 2013 e rimasti lettera morta, così come sono state ignorate le oltre quattromila firme raccolte per la riapertura del Pronto Soccorso, nonostante le promesse del governatore Giani e dell’assessore Bezzini per una sollecita riapertura del Pronto soccorso del Serristori anche in modo parziale. Alla fine è stata partorita l’idea di una futura sperimentazione di ambulatori avanzati, che non saranno mai un vero Pronto soccorso”

“Questa volta il Calcit – afferma deciso il presidente Bonaccini – non vuole parole ma fatti: vogliamo che a Figline resti a tempo pieno la dottoressa Rocco e che torni subito al Serristori il servizio di sub intensiva e di rianimazione, non solo come garanzia per i nostri malati oncologici che quotidianamente si sottopongono a terapie chemioterapiche, ma anche come una sicurezza in più per le sale operatorie del Serristori, che ora, per ammissione della stessa Asl, vengono utilizzate a pieno ritmo allo scopo di soddisfare i bisogni dell’OSMA, dell’Azienda Sanitaria e non più della popolazione figlinese”.

“Tutto ciò – conclude il presidente del Calcit – si inserisce in un quadro davvero desolante della sanità. Mi riferisco anche a quei pazienti, e non solo quelli affetti da tumore, specialmente se anziani, che dopo gli ormai canonici quattro-cinque giorni di ricovero in ospedale, vengono dimessi anche se non sono completamente guariti, e quindi dirottati nelle ‘ville’ di Firenze, certamente lontani da casa dove i familiari non possono assisterli o vederli, se non in orari ristretti. Ci si illude di risolvere il problema con gli Ospedali di comunità, previsti anche nel nostro territorio e per i quali ci sono i finanziamenti. Temo che sarà difficile realizzarli nei tempi previsti del Pnrr e soprattutto, anche ammesso che vengano realizzati, la loro gestione, così come è stata prevista, fa sorgere più di un dubbio sull’effettiva capacità di garantire un percorso riabilitativo efficace. Non è questa la soluzione per la popolazione del Valdarno Fiorentino. Ridateci il nostro ospedale!”.

Glenda Venturini
Glenda Venturini
Capo redattore

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