17, Novembre, 2024

Referendum del 12 giugno: le ragioni del “no” spiegate dall’avvocato Donella Bonciani

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Domenica 12 giugno si voterà per il Referendum abrogativo sulla giustizia: sono cinque i quesiti proposti, con i quali i cittadini dovranno decidere se mantenere le norme attuali (rispondendo “No”), oppure se cancellarle (rispondendo “Si”). Abbiamo interpellato due esponenti, entrambi avvocati, che sostengono le due posizioni. A sostegno del “No” c’è la posizione dell’avvocato Donella Bonciani. 

Perché è contraria ai referendum proposti?
“In primo luogo ritengo che i problemi inerenti il sistema Giustizia debbano essere affrontati attraverso interventi normativi mirati conformi ai principi costituzionali, di alto contenuto tecnico. Credo infatti che un tema così complesso non debba essere trattato a colpi di referendum proponendo ai cittadini quesiti Oscuri, difficilmente comprensibili per chi non abbia competenze specifiche. A mio avviso i referendum abrogativi proposti non sarebbero idonei ad introdurre alcuna opportuna riforma nel sistema. Anzi, alcuni quesiti denotano tolleranza verso fenomeni corruttivi e volontà di allentamento di misure di protezione sociali (quello sulle misure cautelari), insofferenza per il controllo di legalità (quello sull’abrogazione del Decreto legislativo Severino) e per l’indipendenza della magistratura (quello sulla separazione delle funzioni tra magistratura requirente e giudicante)”.

Nel dettaglio, le ragioni del “No”, quesito per quesito. 
“Abolizione legge Severino: il quesito chiede di abrogare integralmente il Decreto legislativo 235/2012 cioè il testo unico che contempla una serie di misure volte a limitare nelle cariche pubbliche la presenza di persone condannate per determinati reati.  Attualmente grazie a detta normativa per i parlamentari (anche europei) i rappresentanti del governo, i consiglieri regionali, i sindaci e gli amministratori locali, scatta l’incandidabilità o la decadenza dall’incarico se sono oggetto di condanne definitive per reati di particolare allarme sociale (es. Mafia) o contro la pubblica amministrazione (es. corruzione), o per delitti non colposi per i quali sia prevista la reclusione non inferiore a 4 anni. La legge Severino prevede altresì per gli eletti in regione e negli enti locali la sospensione automatica dalla carica, per un massimo di 18 mesi, anche in caso di condanna non definitiva.
Il decreto Severino si è reso necessario ed è stato votato dalle forze politiche a causa della incapacità dei partiti di autoregolamentarsi al fine di precludere l’accesso a cariche politiche ed incarichi pubblici ai condannati in via definitiva per reati di particolare gravità.
Chi sostiene detto referendum contesta soprattutto la disposizione che prevede la sospensione dei sindaci e amministratori locali anche in caso di sentenze non definitive. Peccato che il quesito non riguardi solo questo aspetto, bensì tutta la disciplina. Pertanto se il Referendum passasse verrebbero integralmente abrogate le disposizioni che oggi impediscono a chi ha commesso reati di svolgere funzioni pubbliche e di governo.
Appare evidente che il quesito risponda ad una discutibile logica di autoprotezione del sistema politico. Il provvedimento che si vuole cancellare ha costituito un efficace strumento di contrasto alla corruzione e ritengo grave che oggi se ne chieda la totale abrogazione dimenticando che l’art. 54 della Costituzione impone a coloro che hanno funzioni pubbliche il dovere di esercitarle con disciplina ed onore”.

“Limitazione delle misure cautelari. Le misure cautelari sono provvedimenti che limitano la libertà dell’imputato nel periodo di istruzione preliminare e in pendenza del processo. Attualmente l’autorità giudiziaria può adottarli sulla base di precisi presupposti quali: 1. il pericolo di inquinamento delle prove 2. il pericolo di fuga 3.il pericolo di commissione di reati di mafia o di delitti con uso di armi 4. il pericolo di reiterare reati della stessa specie di quelli per cui si è indagati. Se vincesse il sì verrebbe abrogata la disposizione che consente l’adozione di misure cautelari in presenza del quarto presupposto.
I promotori motivano il loro sostegno a detto referendum con il richiamo all’abuso che viene fatto della custodia cautelare, ma dimenticano di evidenziare che il quesito è volto a ridurre drasticamente il campo di applicazione non solo della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari, ma anche delle altre misure cautelari. In sostanza se passasse il referendum, esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l’uso di armi, in presenza di un pericolo attuale e concreto di reiterazione del reato sarebbe preclusa la possibilità di adottare provvedimenti quali ad esempio il divieto per lo stalker di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, o l’allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare, o il divieto di esercitare determinate attività imprenditoriali per chi si è reso colpevole di truffa.
Inoltre occorre ricordare che la norma in vigore contempla già limitazioni alla custodia cautelare in caso di pericolo di reiterazione del reato prevedendo che tale misura sia disposta solo se, per i delitti per cui si procede, siano previste pene elevate (reclusione non inferiore a 4 anni o a 5 anni per la custodia in carcere). In sostanza una vittoria del sì depotenzierebbe gravemente gli strumenti di contrasto alla criminalità”.

“Magistrati e separazione delle funzioni. Il lungo quesito riguarda l’abrogazione di numerose disposizioni che consentono ai magistrati di passare dalla funzione giudicante (del giudice) a quella requirente (del pubblico ministero) e viceversa.
In caso di vittoria del sì il magistrato dovrebbe optare definitivamente per una delle due funzioni senza possibilità di passare all’altra. Attualmente i magistrati possono passare da una funzione all’altra per non più di 4 volte con delle limitazioni (ad esempio non possono operare nello stesso distretto giudiziario)
Ritengo che il vero obiettivo dei promotori del referendum sia quello di addivenire ad una separazione delle carriere tra Giudici e Pm. Obiettivo non consentito dalla Costituzione che nel Titolo IV contiene principi e regole riferite indistintamente a tutti i magistrati. Il principio per cui magistratura requirente e giudicante debbano essere accomunate da un’omogenea cultura della giurisdizione e quindi che anche i Pm debbano operare in modo imparziale nell’interesse esclusivo dell’accertamento dei fatti, costituisce una garanzia irrinunciabile per i cittadini. Separare nettamente le funzioni segnerebbe un allontanamento dei pubblici ministeri da quella cultura comune voluta dalla costituzione.
Occorre peraltro evidenziare che la Riforma Cartabia, in votazione in Parlamento, è intervenuta sul tema prevedendo la possibilità di passare da una funzione ad un’altra una sola volta e solo nei primi dieci anni di carriera del magistrato”.

“Valutazione sull’operato delle toghe. Il quesito chiede l’abrogazione delle disposizioni che escludono avvocati e professori universitari dalla valutazione sulla professionalità dei magistrati. Il CSM valuta i magistrati ogni 4 anni sulla base di pareri motivati del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari che nella circostanza deliberano senza la partecipazione della componente laica (avvocati e professori). Secondo i promotori del referendum una vittoria del sì renderebbe più oggettivo e meno autoreferenziale il giudizio sull’operato dei magistrati. A mio avviso il quesito ha poca rilevanza in quanto i pareri deliberati dai Consigli non sono vincolanti e comunque la riforma Cartabia prevede la facoltà per gli avvocati di esprimersi”.

“Elezioni componenti togati del CSM. Il quesito è volto a modificare le modalità di presentazione delle candidature per l’elezione dei membri togati del CSM eliminando la necessità per chi vuole candidarsi di raccogliere almeno 25 firme di altri colleghi. Secondo i promotori il referendum ha l’obiettivo di limitare il peso delle correnti ed evitare la lottizzazione delle nomine.
Premesso che il quesito si sovrappone alla Riforma Cartabia che stabilisce che la candidatura sia individuale, l’eliminazione della lista dei presentatori è del tutto irrilevante e non favorisce certo il contrasto alla degenerazione delle correnti”.

Glenda Venturini
Glenda Venturini
Capo redattore

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