25, Dicembre, 2024

Dalla Casa Famiglia del Giglio nasce il progetto “Clothest”: e-commerce di abiti e accessori usati di alta moda

Articoli correlati

In Vetrina

Più lette

In Vetrina

L’alta moda che incontra l’economia circolare e si fa solidale: gli abiti in vendita sono usati e donati, ma in ottime condizioni. Il ricavato va alla Casa Famiglia della Caritas di Montevarchi. È l’evoluzione del progetto “Francesco the S-Hope”, nato dall’idea dei giovani che frequentano la parrocchia del Giglio, guidata da Don Mauro Frasi

Dare al vestito una missione più nobile, renderlo il veicolo di un cambiamento positivo che porti a risultati concreti sia per altre persone che per l'ambiente, promuovendo un nuovo modello di sostenibilità. Con questa missione il 1 dicembre è stato lanciato il progetto Clothest*, una nuova piattaforma di ecommerce no-profit di abiti e accessori di seconda mano di alta moda.

Clothest* raccoglie e vende abiti usati di brand del lusso per finanziare i progetti di assistenza della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi, che aiuta circa 200 persone all'anno, con ospitalità per 40 persone mista tra residenze stazionarie e temporanee. I capi donati, chiusi nell’armadio e spesso inutilizzati, vengono così valorizzati per favorire uno sviluppo solidale. "Un ponte di carità fra i donatori e i più poveri", ha definito il progetto Don Mauro Frasi, che guida la parrocchia del Giglio e la Casa Famiglia. 

Clothest* è l'evoluzione di una realtà che nasce nel 2015 all’interno delle mura della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi, dalla volontà di un gruppo di giovani di aiutare le persone accolte nella Casa Famiglia. "Un bel gruppo di 20 giovani – spiega Don Mauro -che si interessano dei poveri ospitati nella Casa Famiglia Caritas di Montevarchi. Sono una bellissima sorpresa. Il loro interesse nel mondo della moda è accompagnato dalla volontà di aiutare chi si è trovato in difficoltà. Con la fantasia della carità hanno ideato e generato un progetto innovativo e fecondo, seguendo la strada aperta, anzi spalancata, da Papa Francesco".

In poco tempo, il gruppo è diventato un’associazione di volontariato, Francesco The S-Hope, e ha raccolto più di 2400 capi usati in ottimo stato, rivendendoli in temporary shops e su eBay. Negli anni successivi il progetto, guidato da Paolo Iabichino, ha attirato giovani talenti con competenze chiave nella moda e partner professionali in grado di trasformare Francesco The S-Hope in una realtà più importante, quella appunto di Clothest*. L’obiettivo, nel prossimo futuro, è di ampliarne ulteriormente l’impatto sociale, coinvolgendo nel proprio organico anche le stesse persone svantaggiate accolte nella Casa Famiglia a cui vanno i proventi.

"Clothest* – afferma Paolo Iabichino, Direttore strategico e creativo del progetto – è un percorso che inizia con la scelta tra acquistare un abito nuovo oppure uno usato. L’impatto ambientale, economico e sociale di un abito, dalla sua produzione alla sua distribuzione, è innanzitutto un problema etico. Comprare un abito usato è un gesto semplice ed efficace che aiuta a ridurre gli sprechi causati dal mondo della moda e che mitiga il ruolo di responsabilità dell’industria del fashion nei processi alla base dei cambiamente climatici. Significa scegliere in modo responsabile per l’ambiente e, in questo caso, anche assistere persone in difficoltà".

I vestiti in Clothest* smettono di essere così semplici oggetti per trasformarsi in patrimonio sociale. Esprimono una dignità della persona, potenziano il vestirsi e portano fuori dalla logica del consumo: vengono resi altro, solidali, un gesto di amicizia, di fratellanza. "Questo progetto per me è una linea d'orizzonte, che unisce mondi distanti – aggiunge Letizia Baldetti, founder di Clothest* – a me ha donato una grande libertà di acquistare, di sbagliare acquisti, di stancarmi di ciò che ho acquistato, perchè d'ora in poi niente andrà più perduto, tutto potrà essere consapevolmente rimesso in circolo e trasformato in patrimonio sociale. Riciclare è trasformare il desiderio di possesso in libertà di acquisto". 

Glenda Venturini
Glenda Venturini
Capo redattore

Articoli correlati