18, Novembre, 2024

“Castro” di Paolo Civati apre la settima edizione di “Sguardi Sul Reale”

Articoli correlati

In Vetrina

Più lette

In Vetrina

Al via stasera presso l’Auditorium Le Fornaci di Terranuova Bracciolini il festival “Sguardi Sul Reale”. Ad aprirlo, la proiezione dell’apprezzatissimo “Castro”, documentario che racconta il mondo delle occupazioni abitative, scritto e diretto da Paolo Civati.

Si apre con la proiezione di “Castro”, un film scritto e diretto da Paolo Civati, la settima edizione del festival “Sguardi Sul Reale”, organizzato dall’associazione Macma.

Un appuntamento consueto per il Valdarno, con fulcro all’Auditorium Le Fornaci di Terranuova Bracciolini, che si terrà dal 29 Aprile al 14 Maggio con la volontà di indagare il racconto del reale attraverso la presentazione di molteplici forme d’arte. Il Festival si presenterà al pubblico proprio questa sera, Sabato 29 Aprile, alle ore 21.30, con la proiezione di un film/documentario che ha ricevuto molteplici menzioni e riconoscimenti.

“Castro” è la prima opera registica di Paolo Civati, apprezzatissimo attore e regista teatrale nato a Como nel 1977. Dopo aver recitato in alcuni cortometraggi e Film per la Tv, Civati si è misurato per la prima volta dietro la macchina da presa, con questo lavoro che ha trionfato all’edizione numero 57 del Festival dei Popoli a Firenze.

Un documentario che racconta la realtà di un’occupazione abitativa situata nel centralissimo quartiere San Giovanni a Roma, attraverso i punti di vista e le umanità accolte, che gli hanno dato vita. Un luogo che ad oggi è stato sgomberato, ma che attraverso le immagini e la regia di Civati è stato fotografato nella sua essenza più genuina. Abbiamo intervistato proprio il regista e autore dell’opera, che sarà presente alla proiezione proprio sul palco dell’Auditorium Le Fornaci, accompagnato da due dei protagonisti del film, Claudio e Deborah.

 

Un argomento delicato e molto attuale trattato -per quanto possibile in relazione ad un universo tanto complesso– con  una leggerezza che coinvolge lo spettatore all’interno di una serie di drammi, talvolta quasi non percepiti come tali. La scelta di questo linguaggio è stata ponderata in relazione alla fruibilità del prodotto guardando anche a coloro che si pongono in modo netto contro l’occupazione di proprietà altrui?

“La natura sociale del film ha per matrice un tema drammatico e sconvolgente che scivola liberamente, e non solo a Roma o in Italia, ma in gran parte del nostro Occidente, a fianco alle nostre vite. L'inchiesta sul tema, l'indagine sul luogo e sulle persone che lo abitavano sono state una parte fondamentale del processo di ricerca che ci ha portati a scegliere come trattare l'argomento; io e Giulia Moriggi  (co-autrice del film) abbiamo deciso di puntare tutto sulle persone che avevamo incontrato al Castro, di raccontarle nella loro quotidianità lasciando dedurre allo spettatore il contesto in cui erano immerse. Volevamo raccontare il meglio di quelle vite, lasciando fuori dalla porta quello che tutti si aspettano da una condizione difficile, per lasciare spazio alla fragilità e, perché no, al sorriso, laddove tutto ciò che è umano ci appartiene e, quindi, ci assomiglia. Volevamo porre l'accento sul fatto che nessuno al mondo troverebbe facile cavarsela in quella situazione ma che i Nostri lottavano per vivere come tutti gli altri, come Noi”.

Cosa ti ha spinto a scegliere di raccontare un pezzo di vita di questo stabile occupato romano, all’interno del quale si intrecciano differenti storie, identità e modi di essere? Oltre ai quasi due anni di riprese, come e quando sei entrato in contatto con questa realtà?

“Il Castro aveva un piccolo spazio libero al piano terreno dello stabile che per anni è stato utilizzato da me e altri registi per delle prove teatrali; quando la situazione ha iniziato a precipitare verso un possibile sgombero dello stabile mi sono sentito in dovere di documentare quello che stava accadendo e di farlo attraverso le immagini, attraverso il cinema, per scalfire la realtà, scardinarla e consegnarla, in modo poetico, anche a chi, in un luogo del genere, non ci metterebbe mai piede… Mi sembrava il minimo dopo che  Castro mi aveva regalato la possibilità di costruire qualcosa che è matrice stessa di un processo artistico, mi ha dato uno spazio e mi ha lasciato libero di amarlo. E adesso a Castro devo pure il mio primo film…”

 

Da questa tua prima esperienza registica, entrando in contatto con umanità che di fatto se interpretano un personaggio, lo fanno presentando sé stessi, esiste un ricordo particolare, oppure una singolarità emotiva che ti è rimasta particolarmente dentro?

“So che ho passato moltissimo tempo, assieme a Valentina Summa (direttrice della fotografia) e a Ludovic Van Pachterbeke (fonico di presa diretta), a tormentare tutto il palazzo per cercare di cogliere attimi spontanei di vita “alla Castro”. Ricordo che è stato bello vedere che a poco a poco tutti sapevano come non guardare mai nell'obbiettivo della macchina da presa, al punto di non considerarci affatto; ho amato moltissimo questo riprendere e vivere assieme in un tutt'uno che  spesso era indistinguibile, abbiamo sofferto con loro e siamo stati accolti anche quando la privacy, a cose normali, l'avrebbe fatta da padrona, e, anche grazie a questo, abbiamo imparato a ridere delle cose tremende che la vita riserva. Il giorno i cui Castro è stato chiuso abbiamo pianto, consapevoli che una parte intima della nostra esistenza sarebbe stata per sempre amputata, ma…viva il Cinema, che non dimentica anzi restituisce una memoria!”

Dopo i riconoscimenti ottenuti, stai già lavorando su qualche progetto in particolare? Nel caso, puoi anticipare qualcosa?  

“Scoprire che "Castro" avesse un ritorno così vivo nel pubblico e nella critica ci ha riempiti di orgoglio, un piccolo film fatto con lo sforzo collettivo è sempre un gesto di coraggio che può finire nel nulla; la responsabilità per tutte le persone che hanno creduto e sostenuto il progetto era tanta, soprattutto  per le persone che abbiamo raccontato. Adesso c'è un dopo, la volontà è  quella di restare ancorati al linguaggio del reale, cercando di indagare ulteriormente sul filo che divide ciò che è “messa in scena” dal “qui e ora”. Ho realizzato sempre progetti di finzione e con attori, in teatro, e mi piace rielaborare la realtà, giocandoci, utilizzando il documento per fare cinema e viceversa. Almeno, è quello che, adesso, cerco di fare…”

 

Articoli correlati