L’architetto figlinese ha vissuto la prima ondata della pandemia a Dubai, dove viveva e lavorava. Tra mille preoccupazioni, ha anche contratto il virus. Poi la decisione di rientrare in Italia: il suo racconto
Francesco Onorati, figlinese, architetto, dal 2015 era a Dubai per lavoro: ed è lì, negli Emirati Arabi, che lo ha colto la pandemia, e si è anche contagiato. Abbiamo raccolto la testimonianza delle sue vicissitudini, e di come è stato complesso il rientro in Italia, in Valdarno.
Dov'eri quando è iniziata la pandemia?
"A gennaio 2020 ero a Dubai, avevo finalmente finito i miei CV e Portfolio, pronti per essere spediti ad alcuni uffici e studi che avevo individuato come possibili mete per proseguire il mio percorso professionale. L'esperienza negli Emirati, dopo quasi cinque anni, era giunta al termine, con la previsione di concludere gli ultimi lavori ed essere pronto a partire nella primavera dell'anno scorso. Destinazione preferita Europa, per potermi avvicinare a casa e ad una vita che definirei più sostenibile. Se non ricordo male, già nei primi giorni dell'anno arrivavano notizie di un virus che stava dilagando in Asia, con i primi contagi anche a Dubai, mentre sembrava ancora lontanissimo dall'Europa. Proprio in quei giorni feci il mio primo tampone, quando ancora niente era sospetto. Negativo. Arrivano le prime risposte di alcuni uffici interessati, tra questi, a gran sorpresa, anche uno studio italiano, altoatesino. Ci siamo sentiti telefonicamente alcune volte per definire i dettagli del mio rientro, con la mia necessità di restare almeno fino a primavera negli Emirati".
E poi, cosa è successo?
"Intanto, a partire da febbraio, il virus era arrivato in Italia. Una vera e propria bomba atomica sul nostro Bel Paese, con effetti inizialmente discriminatori per me e altri italiani all'estero. Andare a cena al ristorante con alcuni amici italiani ed avere gli sguardi addosso di tutti gli altri tavoli non è stato proprio il massimo visto quello che stava succedendo. A Dubai era ancora tutto aperto mentre si diffondeva la notizia che il virus dilagava in Europa e in Italia cominciava il lockdown. Ero ovviamente sempre in contatto con la famiglia e alcuni preziosi amici in Italia per provare ad avere sotto controllo la situazione. Sul fronte lavorativo, proprio quando avevamo fissato i termini del mio rientro con l'ufficio italiano, dovetti fare dietro-front vista la situazione, anche quella aerea".
Negli Emirati, in quella prima ondata, è stato organizzato un lockdown?
"In ufficio, mentre i casi aumentavano anche a Dubai, chiedevo che potessimo lavorare in remoto, almeno avremmo avuto il tempo di organizzarci visto il tanto lavoro ancora da fare. Così, dopo pochi giorni ci ritrovammo ognuno nelle proprie case, con i nostri pc, e le strade deserte nella città. Era partito il lockdown anche a Dubai. Una sensazione stranissima, abituato a vedere la marina sempre intasata di gente, auto e turisti. Fortunatamente ero molto occupato con il lavoro e il supermercato sotto casa facilitava la cosa, così come il caldo ormai alle porte. Il lockdown non è durato molto, poco più di un mese, con successive graduali riaperture. Proprio in quei giorni sono dovuto passare dell'ufficio dove si lavorava con capienza ridotta, per poi uscire per un sopralluogo".
Hai contratto il covid?
"Sì. Tutto è partito con una telefonata del direttore, che mi disse che un collega era risultato positivo e avrebbe così richiesto il tampone per tutti i presenti. Avevo già fatto alcuni tamponi nelle settimane precedenti per scrupolo, tutti negativi. Il tampone fatto in ufficio qualche giorno dopo invece dette il risultato non sperato. Mi sembra fosse metà maggio o la fine del mese quando mi fu detto che avrei dovuto fare quarantena a casa, fortunatamente non in un COVID hotel, e che dopo due settimane avrei potuto rifare i tamponi di verifica. Non ho avuto nessun sintomo e ho ricevuto buona assistenza, sia a Dubai che, anzi soprattutto, dall'Italia per via telefonica. In tutto questo si aggiungeva l'assenza quasi totale di voli per le principali destinazioni europee, Italia in primis, se non qualcosa organizzato dall'ambasciata che ovviamente non potevo sfruttare. In quei giorni il rientro sembrava impossibile, mentre il lavoro a Dubai era ancora tanto e l'ufficio in Italia premeva per il mio rientro".
Come è andata a finire?
"Alla fine tutto è andato per il meglio, i tamponi sono risultati negativi, ho finito i miei lavori e a luglio sono potuto rientrare in italia, con unico volo disponibile su Milano. Un volo interminabile, strapieno di passeggeri, un'attesa infinita a Milano per uscire dall'aeroporto e per prendere l'auto a noleggio. Era l'unico mezzo che potevo utilizzare per raggiungere il mio domicilio dichiarato nell'autocertificazione. Arrivai in Valdarno intorno alle 21, salutai mia mamma affacciata alla terrazza e mi chiusi per altre due settimane nella casa che mia sorella e suo marito avevano preparato per me. La mattina dopo non ci volevo credere. Ero a casa, facevo l'erba del giardino e mi godevo la vista bellissima sulle colline al tramonto. Così, per due settimane".
Oggi, dunque, dove vivi, dove lavori?
"A settembre, dopo una bellissima vacanza nel Tirreno toscano, mi sono trasferito in Alto Adige per lavorare nell'ufficio che ha aspettato pazientemente il mio arrivo. Dopo poche settimane divenne zona rossa, fino a dicembre, quando sono potuto tornare a casa per Natale, dopo altre vicende e altri tamponi tutti negativi. A gennaio, vista la situazione, ho trovato un accordo con l'ufficio che mi ha dato la possibilità di lavorare in smart-working da casa, e spostarmi all'occorrenza. Adesso, dopo tutte queste peripezie, e ne ho sorvolate diverse, lavoro per una società Altoatesina, in remoto, dal Valdarno".