Conferenza stampa all’Accademia del Poggio, per illustrare (quasi) tutti i dettagli del ritrovamento che ha appassionato il Valdarno. Il nuovo mammut, cugino di Gastone, è stato trovato lo scorso autunno da alcuni cacciatori. Poi i sopralluoghi e infine, in questa estate, lo scavo
C'è un nuovo mammuthus meridionalis, oggi, che racconta un pezzo in più della storia del Valdarno. Un ritrovamento eccezionale, di cui Valdarnopost aveva parlato in esclusiva a inizio luglio, ma su cui finora si è mantenuto il massimo riserbo. Da mesi gli enti competenti lavoravano in silenzio, per tutelare al massimo questa scoperta.
Oggi, in una conferenza stampa all'Accademia del Poggio, sono stati svelati (quasi) tutti i dettagli. Non quello del luogo esatto, però: il fossile è ancora lì, e c'è da preservarlo da possibili malintenzionati. Si trova in un luogo non precisato nel comune di Terranuova, un terreno privato che i proprietari hanno messo a disposizione della Sovrintendenza, dell'Accademia del Poggio e dell'Università di Firenze che stanno conducendo lo scavo.
La scoperta, in realtà, risale allo scorso autunno. "Sono stati due cacciatori, a notare le ossa. Hanno capito subito che si trattava di qualcosa di eccezionale – ha spiegato il Presidente dell'Accademia, Lorenzo Tanzini – e segnalando questi fossili hanno permesso che si potesse intervenire". A gennaio l'iter burocratico era già partito, informata anche la Sovrintendenza. "Si tratta sempre di un fatto che suscita meraviglia, la scoperta di un nuovo reperto – ha sottolineato la Sovrintendente, Anna Di Bene – abbiamo subito coinvolto tutti gli enti che potessero collaborare".
E così è stato. Il cantiere di scavo si è aperto a maggio scorso: sul posto hanno collaborato archeologi, palontologi, restauratori, geologi e fotografi, grazie alla disponibilità della famiglia proprietaria del terreno. Settimane intense sotto il sole e il caldo torrido, che hanno portato alla luce le due zanne (difese), il cranio e l'ulna del mammut. Al suo fianco, anche i resti di altri animali, in particolare una zebra.
"In base a rilievi e studi, siamo riusciti ad appurare che quello del ritrovamento non è il luogo del decesso del mammuthus: le ossa sono state portate lì, per trascinamento, probabilmente durante una piena alluvionale", ha spiegato la dottoressa Ursula Wierer della Soprintendenza. "Un altro elefante del Valdarno – ha aggiunto il professor Paul Mazza dell’Università degli Studi di Siena – che però offre conferme importanti sulle modifiche del clima e dell'ambiente che questa zona ha subìto nella storia: la presenza del mammut e di esemplari zebrini richiama alla savana, e 1 milione e mezzo di anni fa il Valdarno, come l'Europa, era un ambiente di quel genere".
Per ora il reperto si trova ancora nel luogo del ritrovamento, protetto con una incamiciatura in poliuretano, legno e ferro, pronto per il trasporto in un laboratorio adeguatamente attrezzato. Le fasi del restauro prevedono l’eliminazione del “pane di terra” che ancora ingloba i reperti, la pulitura dettagliata, la prosecuzione del consolidamento, già iniziato in fase di scavo, l’integrazione delle parti abrase. Una volta completato il restauro, sarà collocato nelle Sale del Museo Paleontologico di Montevarchi, insieme alla collezione di fossili che raccontano il suo ambiente.