Il Dottor Fabrizio Di Maida, medico urologo ci parla di una condizione molto comune l’ipertrofia, conosciuta anche come iperplasia prostatica.
Dottore, come si manifesta l’ipertrofia?
Si tratta di una condizione para-fisiologica di natura benigna per cui si verifica un aumento del volume della ghiandola prostatica in conseguenza del quale viene ostacolato il regolare deflusso dell’urina. L’ipertrofia è molto comune negli uomini e la sua incidenza aumenta con l’avanzare dell’età, infatti si registrano percentuali comprese tra il 5% e il 10% nei pazienti tra i 40 e i 50 anni, mentre si parla dell’80% per gli ultra settantenni. Tale prevalenza è determinata anche dal naturale aumento volumetrico della prostata che si ha con il progredire dell’età.
I sintomi classici che suggeriscono l’insorgenza di tale condizione si dividono in ostruttivi e irritativi, nel primo caso la portata del getto urinario si riduce, nel secondo aumenta l’urgenza minzionale e spesso si ha lo stimolo frequentemente anche di notte. Una vescica irritata mette in atto tutta una serie di risposte compensative tra cui l’aumento dello spessore dello strato muscolare, un meccanismo questo che a poco a poco perde il proprio effetto nel tempo ed è lì che si rende manifesto il sintomo ostruttivo. Pertanto si raccomanda, qualora si notino fastidi o alterazioni nell’attività minzionale, di rivolgersi a un urologo per una visita accurata, una puntuale diagnosi e, nel caso, ad un eventuale percorso terapeutico personalizzato finalizzato alla risoluzione della problematica individuata.
Come si tratta l’ipertrofia?
Oggi esistono tantissime possibilità di trattamento che spaziano da quello farmacologico a tutta una serie di soluzioni chirurgiche di tipo mininvasivo e ultra mininvasivo. Il compito di un bravo specialista è saper individuare la soluzione migliore per il paziente tenendo conto delle sue aspettative oltre che naturalmente del quadro clinico e, nel caso specifico, dello stato in cui si presenta la prostata.
Tuttavia si cerca di partire sempre da un approccio farmacologico qualora la situazione lo consenta e l’ipertrofia non sia già ad un livello avanzato. In fasi iniziali si possono prediligere molecole come fitoterapici ed estratti naturali, la cui azione va a contrastare lo stato infiammatorio, cercando di prevenire l’ulteriore progressione dell’ipertrofia. Un altro approccio avviene mediante la somministrazione di composti alfa-litici, molecole che invece agiscono a livello del collo vescicale allargandolo, agevolando così il deflusso dell’urina e diminuendo il carico di attività della vescica. Esistono infine gli inibitori della 5-alfa reduttasi, enzima deputato alla conversione del testosterone in diidrotestosterone. Tali molecole, esercitando una azione a livello ormonale, vanno a ridurre in ultima istanza le dimensioni della ghiandola, tuttavia possono essere gravate da effetti indesiderati dal punto di vista sessuale come calo della libido ed impotenza, pertanto vengono proposte tendenzialmente in pazienti relativamente più anziani.
A livello chirurgico, quale metodologia si predilige?
Per quanto riguarda il ricorso alla chirurgia invece esistono innumerevoli modalità d’intervento tutte efficaci, tuttavia il miglior risultato si ottiene riuscendo ad individuare la metodica più adatta al paziente. A questo proposito si può affermare che la chirurgia a livello prostatico è divenuta “sartoriale” poiché è cucita sul singolo paziente. Oltre ai più comuni interventi per via endoscopica, conosciuti anche come TURP (resezione transuretrale di prostata), si interviene anche mediante laser, ad esempio con il laser ad olmio e il green laser. Entrambe le procedure, di tipo endoscopico, rappresentano una soluzione chirurgica anche per quei pazienti che riportano disturbi a livello di coagulazione sanguinea che assumono farmaci anticoagulanti o antiaggreganti, e che, se sottoposti a metodiche tradizionali, rischierebbero eccessivi sanguinamenti.
Di più recente nascita sono invece i trattamenti mininvasivi e ultra mininvasivi che hanno una duplice valenza, da un lato riducono i tempi di ospedalizzazione perché, a differenza di quelli classici che richiedono una degenza di due o tre giorni circa, possono essere eseguiti in ambulatorio o in day surgery, dall’altro aumentano la possibilità di mantenere la funzionalità eiaculatoria. Spesso infatti come conseguenza degli interventi classici si verifica l’eiaculazione retrograda permanente per cui l’eiaculato va verso la vescica per effetto della disostruzione.
Tra le metodiche mininvasive annoveriamo ad esempio il Rezum o l’Aquabeam, le quali, sfruttando come energia rispettivamente il vapore acqueo o un getto d’acqua ad elevata potenza, permettono di disostruire il paziente garantendo al contempo più elevate percentuali di mantenimento dell’eiaculazione.
In ambulatorio quali trattamenti si possono eseguire?
A livello ambulatoriale si può utilizzare il laser a bassa frequenza conosciuto come TPLA (ablazione laser per via transperineale). Si tratta di una ablazione laser che si esercita all’interno della prostata previa un’introduzione eco-guidata di un sottile ago attraverso la cute del perineo.
Alternativamente, si possono impiantare dei devices denominati iTIND che non sono altro che dispositivi temporanei da allocare in un’uretra prostatica per qualche giorno. In questo lasso di tempo il dispositivo esercita una leggera, costante pressione sul tessuto prostatico determinando delle incisioni che fanno sì che il canale si mantenga aperto anche una volta che il device sarà rimosso. Infine possiamo citare il sistema Urolift. Questo nuovo approccio comporta la separazione dei lobi prostatici ostruenti mediante piccoli impianti permanenti applicati mediante uno strumento introdotto in uretra prostatica per via endoscopica.
Queste procedure possono essere considerate come “interventi ponte” e vengono generalmente proposte in pazienti relativamente giovani in cui c’è forte interesse a preservare la funzione eiaculatoria o che preferiscono essere slegati da una eventuale farmacoterapia domiciliare.