22, Novembre, 2024

Aquae ferventes: storia e culto delle antiche sorgenti di Pergine

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La zona fra Levane, Laterina e Pergine presenta, sin dai tempi degli etruschi e dei romani, una particolare concentrazione di sorgenti acidule-minerali. Queste hanno da subito rivestito un ruolo importantissimo per le rispettive comunità locali, dapprima come oggetto di culto e fede, in seguito come fonte di estrazione di anidride carbonica e gas. Lo stesso nome Pergine deriva dal termine etrusco Perkuine, ovvero “sorgenti sul colle”. Conosciute e sfruttate da etruschi e romani, presso una di queste sorgenti venne rinvenuta nel 1869 una tavoletta di piombo di età romana, risalente al II secolo d.C., attualmente visibile al Museo Mecenate ad Arezzo.

A fine Ottocento, iniziarono dei lavori di industrializzazione della località Bagno col fine di sfruttare l’anidride carbonica e i gas prodotti dalle sorgenti. Durante uno di questi scavi venne rinvenuta questa tavoletta di piombo incisa in ambo i lati con un’iscrizione latina, che recita: “Quinto Lettino Lupo, detto anche Gaucadio è figlio di Sallustia Venere o Veneriosa, e consegno, lo consacro, lo offro al vostro volere, perché voi, acque bollenti o Ninfe, o con qualunque altro nome vogliate essere chiamate, lo facciate morire, lo accidiare entro quest’anno”. Si tratta di una maledizione che un ignoto abitante di Pergine ha lasciato nelle vicinanze di una sorgente per inaugurare la morte di un certo Quinto Lupo, che forse gli aveva arrecato un torto. Le Ninfe citate, o meglio chiamate “aquae ferventes”, sono delle divinità che i romani credevano abitassero presso le stesse Sorgenti. Il tratto interessante, e ampiamente sottolineato in vari studi, è la caratteristica maligna e violenta che tali Ninfe assumevano. I pensieri degli antichi, presumibilmente, erano dovuti al fatto che le sorgenti, emanando anidride carbonica, uccidevano numerosi animali, dagli uccelli ai lupi, tutti segni di cattivo auspicio presso il popolo romano. Così queste tavolette venivano lasciate per augurare il male a qualcuno. Le sorgenti come “porte degli Inferi” e sedi di Ninfe maligne e vendicative. La stessa definizione riportata sulla tavoletta, “Ferventes” (bollenti), era legata a qualche idea pregressa nei romani: il loro gorgogliare fu subito assimilato al bollire delle acque, quindi riportava subito all’idea di calore e di pericolo.

Negli anni sono stati rinvenuti altri reperti, come un alcuni bronzi di Claudio I e Adriano insieme a delle monete romane. Tutto ciò sembra avvalorare la tesi di Tito Cini, avvocato e autore di un’opera importante a inizio Novecento in materia, che sostiene la presenza, in questa valle, di terme antiche romane. La tesi è anche supportata dalla strategica posizione di queste sorgenti, situata a 300 metri di altezza, che forniva sia una posizione strategica sia un punto nevralgico fra i fiume più importanti, ovvero gli attuali Arno, Ambra e Trove. Lo stesso termine “Bagno” per indicare tale zona sembra confermare i sospetti che proprio fra Levane e Pergine ci fossero state delle terme romane. Purtroppo ancora non sono stati trovati resti archeologici e le stesse sorgenti sono poche e si presentano come piccole polle d’acqua, lontane da Bagno. Oggi, l’abbassamento della falda idrica e i mutamenti idrologici rende anche difficile stabilirne l’ubicazione. Anche se la storia e il culto restano sotto forma di credenze o nei vari nomi di strade e zone.

Tuttavia, è rimasta traccia del profondo legame che questi popoli avevano instaurato con le acque del luogo: Vittorio Dini, docente universitario di antropologia, segnala come il culto delle acque si sia protratto fino al Novecento. Le acque venivano usate, e invocate, per curare la fecondità animale e umana, problemi alla vista, piaghe della pelle. Interessante è una raccolta di testimonianze orali, ottenute fra il 1972 e 1978, che attesta ancora questi culti. Si legge, ad esempio, di un sessantenne mezzadro che ha fatto bere le acque a un bambino che non riusciva più a nutrirsi col latte materno.

Nel corso dei secoli, il legame con le acque si può vedere anche in rapporto al cristianesimo. La figura della Vergine Maria divenne sinonimo di purezza e di acqua e la Chiesa Santa Maria in Valle ne è un perfetto esempio. Edificata nel XVII secolo presso una sorgente perenne, suggerisce l’ipotesi di un continuo e secolare rapporto di fede nelle Sorgenti. Molti abitanti del luogo si recavano in questa chiesa durante periodi di siccità o di pioggia perenne, per invocare l’aiuto di Maria. Le pratiche note riportano l’uso dell’acqua delle fonti come benedizione, ma anche come possibile protezione da eventuali malattie o maledizioni.

Articolo in collaborazione con Alessia Baccani.

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