79° anniversario della strage di Sant’Anna di Stazzema: per il Valdarno aretino presenti la consigliera Roberta Girolami per il Comune di San Giovanni e il sindaco di Loro Ciuffenna, Moreno Botti. Ha preso parte anche una delegazione del Comune di Rignano.
Il 12 agosto del 1944, a Sant’Anna di Stazzema, in poco più di tre ore, furono massacrate 560 persone, tra cui molti bambini. Dopo la deposizione delle corone di fiori in piazza della Chiesa, si è celebrata la Santa Messa sul sagrato. Poi il corteo è salito fino al Monumento Ossario Sacrario dove è stata inaugurata la mostra Colori per la Pace.
Le autorità hanno deposto una corona di alloro.
Sono intervenuti il Sindaco di Stazzema Maurizio Verona, il presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna Umberto Mancini, l’assessore della Regione Toscana Alessandra Nardini. Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna ha tenuto l’orazione ufficiale.
Sant’Anna di Stazzema è un paese che da una montagna di seicento metri si affaccia sul mare. Oggi vi abitano una trentina di residenti, un borgo fatto di casolari sparsi sulle pareti di una valle. Nel 1944 erano molti di più. C’erano anche centinaia di sfollati arrivati dalla costa, perché il paese tra le montagne era considerato più sicuro, e i tedeschi praticamente li uccisero quasi tutti: 560 vittime (394 le identificate) e i corpi dati alle fiamme assieme alle case, quasi per provare a cancellarne ogni traccia.
Ma con i tedeschi c’era anche chi parlava italiano: collaborazionisti fascisti, uomini e donne con la bocca e metà volto coperti da una benda per non farsi riconoscere. L’hanno raccontato i superstiti, anche nelle aule del tribunale. Fu un’azione premeditata e studiata. Calarono da tre sentieri diversi e chiusero Sant’Anna ad imbuto. Rastrellarono chi poterono e uccisero chiunque trovarono.
Tutto si consumò in poche ore. Uccisero nonni, padri e madri, figli e nipoti. Uccisero Anna Pardini, l’ultima nata del paese che aveva appena venti giorni, lei che non aveva una foto per ricordarla e fu fotografata da morta, nella lapide posta su un muro del monumento ossario accanto alla mamma e la sorella di sedici. Uccisero Evelina, che quella mattina aveva le doglie del parto. Uccisero Genny, la madre che prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle. Uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati di risparmiare la sua gente. Uccisero più di un prete. Uccisero gli otto fratellini Tucci con la loro mamma. Uccisero tanti ragazzi e bambini che non avevano ancora sedici anni e che riempiono, con i loro volti, un pannello intero del museo sorto nei decenni successivi nel paese, simbolo di una memoria ritrovata e da conservare.
“Durante il fascismo – si sofferma Nardini – ci furono i collaborazionisti, ci furono gli indifferenti che si girarono dall’altra parte ma ci fu anche chi, come le partigiane e i partigiani, anche a rischio della propria vita combattè la dittatura guidati dalla difesa di valori come libertà, uguaglianza, giustizia e fratellanza dei popoli contro ogni regime. Valori che devono guidarci anche oggi: per essere sentinelle di memoria, per schierarsi dalla parte giusta, per non essere indifferenti rispetto alle guerre che insanguinano il mondo, ai diritti umani e alle libertà violati, per essere accoglienti e solidali verso chi fugge dal proprio Paese per vivere una vita che sia degna di essere definita tale, contro ogni discriminazione fondata su colore della pelle, confessione religiosa, disabilità, sesso, orientamento sessuale o identità di genere”.
“Nazismo e fascismo avevano paura delle differenze e le volevano cancellare – conclude Nardini – Le differenze invece sono una grande ricchezza per la società. Ce lo ricorda anche Michela Murgia, scrittrice e voce libera scomparsa in questi giorni, che una volta ha detto che le sarebbe piaciuto che nella Costituzione fosse scritto che l’Italia è una nazione fondata sulla differenza”.