19, Marzo, 2024

Viaggio tra i pescheti di Rosano. Una storia agricola e familiare che rischia di scomparire: “Varietà autoctone a rischio estinzione”

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Fino agli anni ’70 Rosano era uno dei frutteti di Firenze. “Portavamo i nostri prodotti al mercato di Novoli” raccontano gli ultimi agricoltori rimasti. Ma adesso la pesca di Rosano è a rischio estinzione. Arsia, Regione e l’Università di Agraria hanno censito le innumerevoli varietà autoctone. Prodotti eccezionali che portano i nomi delle famiglie di Rosano, uno dei quali ha origini figlinesi.

La buccia porta ancora i segni dell’ultima grandinata ma il maltempo non ha alterato il profumo ed il sapore intenso di queste pesche.  Frutti piccoli, orfani della perfezione estetica dei prodotti in mostra nei supermercati, ma da un gusto dolce e allo stesso tempo antico. Le pesche di Rosano sono veri e propri gioielli dell’agricoltura che si possono ammirare  in tutto il loro splendore in quella striscia di terra al confine tra i comuni di Rignano, Bagno a Ripoli e Pontassieve. Gran parte dei frutti sta giungendo a maturazione in questi giorni.

Qui da sempre, oltre al vino e all’olio, gli agricoltori della zona hanno prodotto un grande numero di varietà di pesche: dalle cotogne fino alle spicche gialle e bianche. Ma adesso di questa bella storia agricola è rimasto ben poco. Un vero e proprio patrimonio agricolo oltreché genetico – con innumerevoli varietà autoctone – che rischia di scomparire.
 
Gli ultimi rimasti
“Siamo rimasti praticamente tre produttori – raccontano alla Fattoria di Petreto – fino agli anni ’70 c’era una intensa coltivazione di pesche ma adesso i terreni sono stati in gran parte abbandonati. Mi ricordo ancora quando nei decenni passati portavamo i frutti al mercato di Novoli. Adesso con gli attuali standard, i prezzi bassi di vendita e la concorrenza che arriva anche da fuori Italia sarebbe impensabile rivolgersi alla grande distribuzione”.

 Secondo le stime dei vecchi 70 ettari di produzione, ne sono rimasti solo 5 ettari. Oltre alla fattoria di Petreto, continuano a produrre le celebri pesche le monache di Santa Maria a Rosano e una attività agricola lungo la provinciale 90. Matteo Zecchi, giovane agricoltore, ha rilevato l’attività pochi mesi fa: “La produzione di pesche sta entrando nel vivo adesso. Effettivamente siamo rimasti in pochi e molte varietà rischiano l’estinzione”.


 
Una storia familiare
Quella delle pesche è innanzitutto una storia familiare prima che agricola. Per capirlo basta leggere i nomi delle varietà autoctone di Rosano: Cotogna Ceccarelli, Cotogna Cicalini, Cotogna del Berti, Cotogna Pandolfini (la cui origine però è figlinese).  Una lista infinita di frutti ottenuti da incroci molto spesso casuali: innesti tentati dai contadini della zona che hanno dato il loro nome ai frutti.

Una lista che annovera la celebre pesca cotogna di Rosano, la pesca cotogna di Rosano Prima e pesca cotogna di Rosano Tardiva ma anche la Burrona di Rosano e di Terzano, così come la Regina di Londa, piantata anche qui tra il Valdarno e la Valdisieve.
 

A rischio estinzione
Tutte varietà che rischiano l’estinzione per l’abbandono delle campagne da parte dei frutticoltori, ma anche – come nel caso dell’originale cotogna di Rosano – per “aspetti commerciali del frutto non soddisfacenti a causa della tradizione colturale a non effettuare massicci trattamenti antiparassitari, oggi necessari al fine di garantire un prodotto attraente per il consumatore” si legge nelle varie schede tecniche dell’Arsia. Ed in fondo basta ammirare questi frutti per notare la grande differenza con i prodotti della grande distribuzione.
 

 
Un patrimonio genetico a rischio
La pesca di Rosano è uno dei tanti esempi di come la biodiversità toscana sia seriamente minacciata. E viene messa in luce anche nel volume “Le collezioni di germoplasma vegetale toscano – Specie frutticole, ornamentali e da fiore”, pubblicato da Arsia nel 2005: “La consapevolezza dell’enorme importanza che riveste il problema della conservazione delle risorse genetiche, di inestimabile valore sotto tutti i punti di vista, è ormai dominio comune di tutta la compagine scientifica mondiale. Alla luce del drastico incremento delle specie in estinzione è emersa, in modo urgentissimo, la necessità della conservazione delle comunità vegetali e delle specie animali che in esse convivono. Sono gravemente minacciate le varietà primitive, le specie selvatiche affini alle piante coltivate, insomma il materiale grezzo di futuri adattamenti, che rappresenta la maggiore sorgente di variabilità genetica. La perdita di questo materiale comporterebbe una tale restrizione della variabilità genetica complessiva delle specie addomesticate e migliorate da compromettere perfino la loro sopravvivenza”.


 
La tutela della biodiversità
Per questo Università di Agraria, Arsia e Regione Toscana sono da sempre impegnati per la salvaguardia di questo patrimonio. La tutela della biodiversità in campo agrario e forestale – si legge nell’introduzione dello studio – rappresenta uno dei principali obiettivi della Regione Toscana la quale ha emanato, nel 1997, la prima Legge Regionale (L.R. 50/97) sulla tutela delle risorse genetiche autoctone, modificata con la Legge Regionale n. 64 del 16 novembre 2004 su “Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale”. Con essa la conservazione ex situ sarà garantita dalla “Rete regionale di conservazione e sicurezza”, della quale farà parte la “Banca regionale del germoplasma”, ossia un sistema di collezioni di tutte le specie iscritte nei Repertori regionali della Toscana". Obiettivo valorizzare le collezioni di germoplasma toscano attraverso una loro maggiore visibilità, facendole diventare sempre di più il riferimento per reperire il materiale di moltiplicazione, soprattutto se sono gestite da enti che si sono dotati della possibilità di rilascio della certificazione varietale e fitosanitaria”.
 
La banca del germoplasma
Per questo è stata creata una vera e propria banca del germoplasma: “lo scopo della conservazione è quello di mantenere integri geni e sistemi genici che si sono evoluti nelle popolazioni locali, nelle cultivar moderne e in vari stock genici che sono, o potrebbero essere, necessari per scopi di ricerca e di miglioramento genetico”. Un archivio regionale al quale è possibile accedere per iniziarne la coltivazione anche a livello hobbistico, con la speranza di riscoprire varietà attualmente non più coltivate. La salvaguardia della tradizione è affidata adesso più agli appassionati che non ai produttori.
 

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